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Note: scritta per la M1 del Cow-T con il prompt DISORDINE. Non riletta, non betata,, senza note né altro finché non verrà rivista post CowT as usual.
6110 Parole - NSFW
La porta dell’appartamento si spalancò con un tonfo sordo.
Drake e Bonney stavano in piedi nell’androne, il primo tenendo in mano una pezza insanguinata, la seconda tenendosi il costato; fissarono per qualche istante le facce sbalordite dei loro ignari compagni, finché Cavendish fece un passo in avanti, agitando convulsamente una mano.
«Aspetta, aspetta, aspetta! Non entrare che mi macchi il divano e il tappeto e il sangue non va via, vero Rebecca che non va via?»
«Ma ti sembra un problema?» sbraitò la sua ragazza, correndo con occhi sgranati verso i due e facendoli entrare «Non vedi che è ferita?»
Bonney sollevò le spalle e le scrollò con l’aria di chi non si aspetta niente.
«Stai tranza, ciccia, che qua non ci stanno mica problemi. Io tanto guarisco».
«E nel frattempo mi macchi il divano».
«Vuoi stare zitto, William?» Bartolomeo si avvicinò al demone e gli tirò un leggero scappellotto sul capo.
Drake roteò gli occhi, richiudendo la porta di gran fretta, quindi si prese la stoffa macchiata di sangue e la piazzò sul tavolo della cucina, come se fosse un trofeo.
«Che schifo, cazzo, ci mangiamo su quel rottame di legno, vuoi levare quella merda da lì?».
«Taci, Kiddo, abbiamo avuto un’idea geniale, stavamo in lavanderia-»
«Cosa diavolo stavate facendo in una lavanderia? Di notte? Dopo il coprifuoco?» Alvida scosse leggermente il capo senza capire, quindi si bloccò di scatto «Oddio, aspetta, non rispondere a questa domanda, non voglio saperlo».
Basil sollevò un sopracciglio, fingendo un interesse che non provava; Kidd sorrise sotto i baffi che non aveva e Cavendish drizzo improvvisamente le orecchie, finalmente un discorso di spessore. Peccato che Francis demolì ogni aspettativa ancora prima che venisse costruita.
«Non avete capito un cazzo» sbottò, non curandosi affatto di conoscere quelle persone da meno di ventiquattro ore «Stavo cercando Bonney, come vi ricordo che mi avevate chiesto voi stessi di fare, e sono arrivato proprio mentre un’ombra, cioè un tizio, uno fatto d’ombra, cercava di accoltellarla. L’ha tagliata sul torace, gli ho sparato e poi siamo scapati per sfuggire all’ombra».
«Non ho capito» berciò Bartolomeo aggrottando la fronte «Hai sparato all’ombra? Era tipo un fantasma?»
«Non dire stronzate».
«Affascinante, quindi avete visto il tramite!» affermò Basil, improvvisamente interessato alla piega che aveva preso la conversazione.
«E se c’è un tramite…» continuò Alvida fissandolo e facendo un passo verso di lui.
«C’è anche un catalizzatore e probabilmente anche…»
«Anche un altare da evocazione. Se riusciamo a trovare dei residui magici nella zona dell’attacco…»
Basil si alzò in piedi e aggrottò le sopracciglia, facendo un passo nella direzione di Alvida: «Possiamo risalire alla fonte e trovare l’altare, e a quel punto basterà aspettare che si faccia vivo…»
«E distruggere il catalizzatore!» esclamarono insieme.
«Sto per vomitare» fece loro presente Kidd, guardandoli con aria disgustata «Almeno questo tizio fa fuori la gente, come un vero demone dovrebbe fare, noi siamo qua a giocare con gli umani, Bonney probabilmente a limonarli, e mentre questo va in giro ad ammazzare gente io sono costretto a guardare queste scenette pietose da nerd esaltati».
Venne ignorato.
«Cos’è un catalizzatore?» domandò Rebecca, facendo un passo avanti.
«Un umano da solo non può contenere il potere di un demone, puoi farci un patto, questo sì, ma il tuo corpo, il tuo fisico non è adeguato alla quantità di energia e di potere che un patto continuativo che preveda l’utilizzo e la condivisione delle prerogative del demone comporta».
«Non ho capito» Bartolomeo fissò Alvida per qualche minuto «Quindi io e Rebecca potremmo morire?».
«No, esistono diversi tipi di patti con le creature soprannaturali. Quello che avete stretto voi è basato sulla semplice evocazione; William è legato a voi, ma non in modo permanente, potrebbe semplicemente esaudire la vostra richiesta e sarebbe libero di andarsene. Questo genere di contratto a senso unico è detto “Evocazione Invasiva”, perché è invasiva per noi, ma c’è anche da dire che spesso l’evocatore viene semplicemente eliminato»
«Poi c’è la cessione dell’anima, adoro quel genere di contratto» celiò William interrompendola e beccandosi un’occhiataccia «La cosa più divertente sono le loro espressioni terrorizzate quando dopo dieci anni ti presenti a prendertela e loro non sanno più cosa fare».
«Esatto, e la terza, quella di cui parliamo in questo caso è la condivisione del potere; l’umano e il demone stringono un patto di convisione dei rispettivi corpi e dei rispettivi poteri. Il demone può camminare in sembianze umane e andare in giro indisturbato, mentre l’umano puòò usufruire dei suoi poteri. Sono patti rari perché il corpo umano non tollera che il potere scorra nelle sue vone troppo a lungo, si rompe. Per mantenerli è necessario un catalizzatore, un artefatto magico che faccia da tramite per il potere in modo che l’umano non debba contenerlo eccessivamente nel suo corpo che si corroderebbe dall’interno. Quindi, nel nostro caso sappiamo tre cose: l’umano in questione o è molto forte o molto stupido, il demone evocato vuole qualcosa da lui o non avrebbe mai accettato un simile fatto, sta aspettando che muoia per prenderselo. Il che vuol dire che con ogni probabilità si tratta proprio del catalizzatore».
«E non mi è chiaro, come vorreste recuperarlo, esattamente?» domandò Bonney, sollevando un sopracciglio.
«Seguiremo i residui magici fino all’altare e lì aspetteremo» propone Hawkins, ottenendo un cenno di approvazione da Alvida.
«Oppure potremmo, tipo, fare un test del DNA sul sangue del Serial Killer, che ne dite? Troppo umano? Troppo veloce? Troppo scientifico?» Drake sventolò il pezzo di stoffa – che una volta era stato la giacca del suo completo – di fronte ai nasi dei presenti, strappando un sorrisino soddisfatto a Bonney.
«Scusa come? E dove lo avresti trovato?»
«Quale parte di ‘ho sparato all’assassino’ non era chiara? La parte in cui sparo o quella in cui il tizio ha cercato di accoltellare Jewelry?»
«Faremmo comunque prima a cercarlo con la magia» commentò William, sollevando le spalle.
«Già, concordo anche io» Basil, annuì convinto.
«State scherzando? Sto posto pullula di magia!» si lamentò Bonney «Come farete a riconoscere la sua traccia dalla nostra, da quella di William?»
«S c i e n z a» sillabò piano Drake agitando il panno.
«Io me ne tiro fuori» borbottò Kidd «E comunque serve qualcuno che faccia da guardia del corpo alla piccola cagacazzo».
«Grazie, Eustass» borbottò Rebecca «E comunque, se proprio non sapete cosa fare, potete sempre dividervi in due gruppi. Uno che cercherà gli indizi magici e l’altro che si baserà sui fatti scientifici, così avremmo ben due piste da seguire e il doppio delle possibilità di trovare l’assassino».
Capitolo 3
C’erano tre cose che Donquijote Doflamingo amava sopra ogni cosa: il potere, il rosa e sé stesso.
Al momento aveva tutte e tre, era sindaco di Dressrosa, amato dai suoi cittadini, circondato da un entourage che lo venerava e lo adulava quasi fosse una divinità, aveva un nuovo cappotta di piume rosa – di importazione fatto con vere piume di fenicottero rosa morto, e non gli interessava minimamente che fosse illegale, dovevano pensarci prima di farsi sparare, quegli stupidi pennuti – e aveva anche un gigantesco specchio sul soffitto in cui rimirare la sua meravigliosa immagine finché non fosse stato pago di tanta bellezza. Non che fosse mai abbastanza. C’erano giorni in cui passava ore e ore intere ad ammirare il suo riflesso, pensando a come l’aria di quel posto avesse fatto bene alla sua carnagione, a quanto fossero biondi i suoi capelli e luminosi i suoi occhi. Insomma, priorità. A volte si sarebbe limonato da solo se avesse potuto, ma siccome la cosa era in qualche modo complicata aveva deciso che avrebbe limonato la sua segretaria – e Viola Dold non si era di certo dimostrata riluttante quando l’aveva presa con un braccio e attratta a sé. C’era quel un sorriso ironico e sexy sulle labbra della figlia dell’ex Sindaco che gli aveva acceso un fuoco nel basso ventre e da lì era storia. Almeno per quelli che lavoravano con lui, quelli che gli erano fedeli, che lo avrebbero seguito anche all’inferno.
Il problema era un altro, il problema era che benché avesse tutto quello che un individuo del suo calibro potesse desiderare, qualcuno aveva pensato bene di venire a casa sua e rovinargli le uova nel paniere. Di tutte le cose irritanti che potevano capitargli quella era sicuramente la più spiacevole e irritante, e non si trattava solo del fatto che fosse un attacco personale alla sua organizzazione, aveva oramai un’età per la quale era abituato agli attacchi personali, non si sconvolgeva più di tanto. Ma ammazzare gente in quel modo? La sua gente? Eliminare un’intera divisione del commissariato per attirare l’attenzione dell’FBI? Oh, diamine, ci mancava giusto l’FBI. Non aveva idea di chi fosse l’esimio cazzone che aveva deciso di prendersela con lui, ma chiaramente quello era esagerare e quel tizio non doveva starci per niente con la testa, ma proprio per niente.
Proprio per questo motivo aveva deciso di indire una riunione, radunare la cerchia stretta e venire a capo del problema. Non che i suoi collaboratori brillassero per acume, ma da qualche parte doveva pur iniziare e aveva profonda necessità di liberarsi di quella mosca fastidiosa che sembrava a tutti i costi voler minare le basi della sua organizzazione.
«Molto bene» esordì, di fronte alla tavolata di persone che lo fissavano con aria corrucciata «Voglio sentire soluzioni al problema, e ne voglio di definitive».
«Questo non è un problema, Boss» celiò Trebol con la stessa espressione sveglia di una zucchina «Cioè siamo sempre stati bravi a fare queste cose, no? Ricorda-»
«Non ti ho chiesto di ricordare i magici momenti trascorsi assieme, idiota, ti ho chiesto una soluzione».
«Beh, lo prendiamo e lo ammazziamo, o lo facciamo fare a qualcuno» commentò Pica, grattandosi la nuca.
«Brillante, davvero. E come proponi di trovarlo? Metti un annuncio? Cercasi serial killer che rompe le scatole al sindaco, pregasi di consergnarsi, lauto compenso in oro?» domandò Diamante, sollevando un sopracciglio «Sono sicuro che lo farà sicuramente, consegnarsi intendo, dopo tutto siamo persone di buon cuore».
«Ma non è mai vero».
«Stai zitto Pica, imbecille».
Doflamingo si massaggiò le tempie con crescente irritazione, quindi sbatté le mani sul tavolo e li fissò tutti quanti con uno sguardo glaciale.
«Mi chiedo» sibilò tra i denti «Quale sia il vostro problema, e di conseguenza il mio che mi ostino a tenervi vicini. Ora, questo tizio di cui non sappiamo niente, sta seminando il panico nella mia città, sta versando del sangue nella mia città, sta ammazzando gente nella mia città. NELLA MIA FOTTUTA CITTA’».
Parte dei presenti incassò leggermente la testa tra le spalle, sperando vanamente di sfuggire all’ira del sindaco.
«Voglio sapere chi è, come si chiama, quanti anni ha, dove vive, se ha una famiglia, cosa gli piace mangiare, voglio sapere quante volte va al cesso a pisciare, se mette lo zucchero nel caffè, e voglio sapere perché cazzo ha deciso di venire nella mia città a interrompere i miei traffici e a rompermi il cazzo. Voglio sapere tutto e lo voglio sapere in fretta e quando dico in fretta intendo che avete ventiquattrore prima che io perda del tutto la pazienza e vi appenda fuori dalla porta a testa in giù per scongiurare il fottuto malocchio» si fermò per riprendere fiato, i capelli scarmigliati sulla fronte, gli occhiali leggermente storti sul naso e il petto ansante «Sono stato chiaro?»
«Sissignore, signore»
«E allora perché siete ancora qui? Muovetevi, fuori dalle palle. RAUSS». Si sistemò gli occhiali e si lasciò cadere a sedere con fare teatrale sulla poltrona sistemata a capotavola «Sugar, sii carina e portami un caffè, americano, nero e senza zucchero e il più forte possibile».
Appoggiò le gambe sul poggia piedi e chiuse gli occhi, crogiolandosi nell’abbraccio della sua giacca di piume rosa, era sicuro che ci fosse qualcosa che gli stava sfuggendo, perché chiunque fosse la persona dietro a quegli omicidi si doveva trattare di qualcuno che conosceva la città, che conosceva lui, che sapeva dove colpire. Borbottò qualcosa di inintelligibile, mentre con una mano si abbassò gli occhiali da sole dalla montatura in avorio sugli occhi ancora serrati.
«Chiamatemi Vergo» sibilò, la sua voce era così sottile e il tono tanto basso che per poco nessuno lo udì – e sarebbero state terribili le conseguenze se nessuno lo avesse fatto, ma si erano abituati ad obbedire a qualsiasi sussurro anche il più flebile.
«Dof, mi hai fatto chiamare?»
«Ragiona con me, vecchio mio» lo pregò l’uomo raddrizzandosi e accavallando le gambe incredibilmente lunghe e sottili «Seguimi in questo ragionamento e dimmi, in tutta sincerità, se ti sembra sensato o se con l’età mi sto trasformando in un vecchio paranoico – nel caso usa un altro termine che odio sentirmi dire che sono vecchio, lo sai».
«Ti ascoltò» Vergo si grattò la barba, lasciando cadere a terra alcune briciole di cibo che vi erano rimaste incastrate.
«A quanto pare questo qualcuno che attraversa la nostra città. Il nostro territorio, con tanta arroganza, pensa davvero che un paio di morti possano danneggiare l’organizzazione, ma non uccide necessariamente le persone dell’organizzazione, quindi in base a cosa le sceglie?»
«Mi sono permesso di portarle una copia dei rapporti della polizia, della scientifica e dell’anatomopatologa. Apparentemente non c’è niente che accomuni le vittime se non il fatto che sono tutte donne, giovani, piacenti e in qualche modo legate alla nostra organizzazione».
«Tutte? E questa Esta?»
«Ha partecipato all’operazione T.B., Dof, ruolo di importanza secondaria, informatrice».
«Capisco» l’uomo sfogliò distrattamente le pagine del rapporto, fermandosi quindi di fronte alle foto delle vittime «Quindi si tratta di qualcuno che conosce l’organizzazione e sa chi ci lavora, qualcuno che ne sa abbastanza da riuscire a riconoscere chi lavora per noi da chi non è che una figura di passaggio».
«Sì, ho notato anche io, e ci sono anche i simboli incisi sui corpi delle vittime, come se volesse evocare qualcosa, o qualcuno. Ma non si tratta di omicidi compiuti da un semplice fanatico satanista, si tratta di una persona di cultura, di qualcuno che ha una vaga idea di cosa stia facendo, questi termini, questi simboli hanno tutti provenienza sacra, sono contenuti della mitologia cristiana, in quella ebraica, mesopotamica, occidentale».
«Una persona di cultura che sa dove colpire e sa chi colpire, dimmi se sbaglio, Vergo, ma credo che il posto giusto da cui partire…»
«Sia tra i ranghi stessi della nostra organizzazione, la penso allo stesso modo, Dof».
«Anche se dubito si tratti di qualcuno di attivo, deve essere una recluta, o un ex membro, qualcuno che è stato respiro o che abbiamo dato per morto. Voglio che li controlli tutti, Vergo, ogni singolo possibile candidato, voglio che li controlli, la valuti caso per caso e torni da me con un nome».
«Sissignore».
«E dopo che avrai trovato quel nome, uscirai dal palazzo, lo cercherai, gli sparerai nelle rotule, gli romperai la milza e lo porterai da me perché possa spaccargli faccia ed estrargli i denti uno a uno finché non lo vedrò piangere davanti a me chiedendo perdono».
«Come sarebbe a dire che è successo di nuovo?» domandò Rebecca, agitando il telefono davanti alla bocca come se fosse stata colpa dell’oggetto.
«Sarebbe a dire» gracchiò la voce di Drake dall’auricolare «che abbiamo trovato un’altra vittima, un nuovo morto, l’assassino ha colpito ancora, le -»
«Grazie, quello lo avevo colpo, ma non avevi detto che gli avevi sparato?» sibilò, questa volta con maggiore discrezione, accostando il telefono alla bocca «Quando ha avuto il tempo di colpire di nuovo, di uccidere una persona e incidervi sopra tutti i simboli del caso? Perché è questo il suo modus operandi, ti ricordo e non è esattamente una tipologia di omicidio che prende poco tempo».
«Secondo il sindaco deve essere accaduto questa mattina».
«Cosa c’entra adesso il sindaco?»
«La vittima lavorava per lui, si chiamava Sugar qualcosa, non ricordo, ho lasciato i fascicoli all’obitorio del dipartimento visto che quello comunale è inagibile».
«Oh, no, credo fosse la sorella di una delle vittime, è terribile».
«Davvero? Beh, almeno questa sarebbe una pista. Vado a raccattare Bonney e ci vediamo all’obitorio tra mezz’ora?»
«Sì, sì, vedo dov’è finito Eustass e arrivo» rispose Rebecca, chiudendo la chiamata.
Rimase a lungo a fissare il telefono, osservando con sguardo corrucciato la schermata nera di blocco, desiderando di essere in qualsiasi posto tranne che lì. Ultimamente a Dressrosa stavano accadendo cose troppo strane per essere considerate accettabili, e davvero non era nemmeno per i demoni che le giravano per casa, non era quello il problema. Era quel sentore di morte, quella sensazione di impotenza e la consapevolezza di essere nelle mani di forze incontrollabili per più potenti di lei. C’era un ordine naturale delle cose che era stato sovvertito e ora attraversavano le strade di una città governata da un disordine innaturale, pervasa da un alone di magia che non sarebbe dovuto essere presenta, come infestata da creature che non sarebbero dovute esistere.
Rebecca sospirò piano, infilando la testa in salotto e guardandosi attorno, Kidd dormiva sul divano, degli altri non c’era traccia. Era già una fortuna che Kidd fosse lì. Alvida aveva preso in affitto – non si sapeva bene come – un appartamento da tre stanze nello stesso condominio, in modo tale da non vivere in sei in quel tugurio – che nemmeno era un tugurio, anzi, quel termine era quasi offensivo, dopotutto quell’appartamento era stato di sua madre ed era pieno di ricordi meravigliosi. In ogni caso si erano divisi, e non si erano semplicemente divisi in due gruppi, uno per la ricerca scientifica (composto da Drake, Bonney, Kidd e Rebecca) e uno per la ricerca magica (con Alvida, Hawkins, Bartolomeo e William), ma si erano proprio divisi in coppie di modo che ogni essere umano fosse controllato – e a suo modo protetto – da uno dei demoni.
Rebecca era rimasta un po’ piccata per il fatto che in questo modo Bartolomeo e Cavendish sarebbero stati in giro tutto il giorno, assieme, senza di lei, ma come William le aveva fatto notare poteva pensarci prima di diventare un medico e fare invece la cartomante, in quel odo sarebbero stati tutti felici e contenti a braccetto a indagare sulle stesse cose. Rebecca gli aveva tirato un mestolo in testa ed era stato a quel punto che Kidd si era proposto di farle da scorta – e di insegnarle come uccidere una persona con un cucchiaio, ma questa offerta la giovane l’aveva gentilmente declinata.
«Non sto davvero dormendo e sappi che se hai intenzione di tirarmi un cuscino per farmi alzare ti strappo le braccia. E non è un eufemismo».
Rebecca si bloccò di colpo, fermandosi sul posto e sospirando; mise le braccia davanti a sé, mostrando al demone che in mano non aveva niente e che di sicuro non aveva voglia di provocare l’ira di Wrath con uno scherzo cretino.
«Non mi passava nemmeno per l’anticamera del cervello, e una parte di me si chiede chi possa essere così stupido da pensare anche solo lontanamente che tirarti qualcosa possa essere una buona idea».
«Brava, mi piaci sempre di più, mi raccomando, fallo presente anche a quel cretino di Cavendish la prossima volta, così non sono costretto a distruggergli il roseto per vendicarmi».
«Non sono sicura di voler sapere niente».
Kidd la ignorò, mettendosi a sedere e stiracchiandosi.
«E la volta prima per ripicca gli ho pisciato sui tulipani».
«Oh santa pace».
«Non c’è niente di santo a questo mondo, piccoletta, niente. E di sicuro non la pace, meglio la guerra, meglio il sangue e meglio la morte, vuoi mettere cosa sia più divertente?»
«Ti prego, non voglio saperne niente. C’è stato un altro omicidio, andiamo».
Kidd saltò in piedi, felice come una pasqua; aveva la stessa espressione di un bambino a cui hanno appena detto che Babbo Natale sarebbe passato una seconda volta quell’anno e che gli avrebbe portato esattamente quello che aveva richiesto.
«La vita è meravigliosa» esclamò sbattendo le mani.
«Solo se sei vivo» ironizzò Rebecca, guardandolo storto.
«Cosa abbiamo, cosa? Cosa? Come le uccide? Sono donne? Sono uomini? Sono bambini? Mah, conoscendolo sono vergini, vecchio porco laido».
«Verg- Come fai a saperlo? Non l’ho nemmeno scritto nel rapporto».
«Minchia, sono quattromila anni che sto panzone fetente ogni fottuta volta che viene evocato fa fare sacrifici umani ai suoi seguaci, gli basta che si tratti di donne e che siano vergini, poi per il resto è uno di quelli a cui va bene tutto purché abbia un paio di tette e non l’abbia ancora regalata».
«Non so» borbottò Rebecca infilandosi il cappotto e prendendo al volo la borsa «È che trovo questa cosa di usare le vergini come sacrifici terribilmente demodé, alla fine quello che vi interessa non è il sangue? Cioè lasciando stare i simboli che incide sulla carne – William mi spiegava che hanno principalmente valore evocativo, trasferimento del potere, tortura, e altre amenità – ma alla fine quello che vi soddisfa è il sangue, giusto? Il dolore che prova la vittima».
«Sì, infatti alla maggior parte di noi va bene qualsiasi sacrificio, ma ti dirò il sacrificio umano per sé è passato di moda, a nessuno importa davvero che gli vengano sacrificate delle persone. Io? Io preferisco la guerra, mi nutro della guerra e mi ci crociolo dentro, e non serve mica che me la dedichino».
«Ma a… a Lui sì?»
«Perché il vecchio Barbanera è un barbaro, un trucido, uno schifoso».
«Amato da tutti, noto».
Kidd aprì la porta di ingresso e la fece uscire, seguendola a sua volta.
«Non fraintendermi, piccoletta, è stato un grande demone. C’è stato un momento in cui qualcuno ha pensato che sarebbe riuscito a detronizzare Luci e a prendere il suo posto – non io, ovviamente, in realtà nessuno dei sette, siamo troppo legati tra noi – ma alcuni demoni minori lo seguirono. Ci fu una guerra, una guerra vera, non di quelle che fate voi, con qualche morto e qualche bomba, ci avvicinammo pericolosamente all’estinzione in quel momento. La nostra, la vostra, la fine di tutto. Da quel momento tutto cambiò e Barbanera venne umiliato, ferito e gettato nel fondo dell’inferno, in qualche girone dimenticato da cui strisciò fuori solo perché ci dimenticammo di lui. Continuò a scassare il cazzo. Nessuno è più odiato di lui all’inferno e sono sicuro che Luci ancora sta attendo che non gli scivoli tra le mani».
«Per questo siete qui? Per controllarlo?»
Eustass sbuffò, guardandola di sottecchi e le tirò con leggerezza la treccia.
«Non usare quel tono sarcastico, piccoletta, siamo demoni, ma abbiamo sentimenti, siamo in grado di creare dei legami di amicizia, dei legami affettivi, ci vogliamo bene a modo nostro. Anche se il modo di esprimerlo non sempre si confà ai vostri metodi e ai vostri standard. Voi umani vi rinchiudete in categorie, settorializzate tutto ciò che potete e non potete fare e poi ve la menate con quelle cazzo di norme sociali di merda che vi complicano la vita in modo ridicolo e imbarazzante. Noi non abbiamo di questi problemi. Non ce li poniamo nemmeno».
Rebecca lo fissò, senza dire niente, continuano a camminare al suo fianco.
«Noi sette siamo legati. Siamo l’incarnazione dei peccati capitali, dei vizi dell’uomo e non possiamo davvero esistere l’uno senza l’altro, per questo ci destabilizza in qualche modo che Lucifero sia in grado di farlo – e come non potrebbe, in fondo è Pride e ne andrebbe del suo orgoglio se non ci riuscisse. Ma in ogni caso siamo legati, siamo dipendenti l’uno dall’altro. E quindi sì, se abbiamo accettato di restare a controllare è principalmente perché non vogliamo che sia Luci a doverlo fare, ha sempre odiato il Barbanera, con tutto il cuore, lo ha destabilizzato quel suo tentativo di venirgli incontro, di soppiantarlo, perché a suo modo si fidava di lui. Meglio se ce ne occupiamo noi, finché riusciamo».
«Sono quasi commossa. Ho detto quasi».
Aprì la porta della centrale di polizia e si diresse con passo sicuro verso il piccolo obitorio nel quale era stato trasferito il corpo della vittima. Una stanza di dimensione ridotte, usata per le autopsie di emergenza, dai colori freddi. Puzzava di morte e disinfettante, due odori che Rebecca conosceva fin troppo bene, ma che mai fino a quel momento aveva associato a qualcosa di realmente negativo.
«Buongiorno» borbotto, salutando l’agente dell’FBi e il demone che lo accompagnava «Cosa abbiamo qui?»
«Donna, 22 anni, lavorava al municipio per il Sindaco. È uscita verso le dieci per andare a fare delle commissioni, quando non è tornata il sindaco si è insospettito e ha mandato qualcuno a cercarla, l’hanno trovata dietro alla piazza con la fontana, in un vicolo non poi così isolato».
«Povera Sugar, era così giovane e piena div ita! Non ci posso credere» Rebecca si passò piano le mani sugli occhi e fissò il corpo minuto steso sul tavolo «Così tanta violenza, ma poi scusa in pieno giorno? Fino ad adesso ha sempre colpito di notte».
«È diventato più frettoloso, guarda questi segni, sono poco curati, il lavoro è stato fatto di fretta, forse gli tremava la mano. Sta diventando meno prudente».
«E non è meglio così, ciccio?»
«Sì, beh, aumentano le possibilità di prenderlo, ma è anche più facile che aumenti il numero delle vittime e questa non è mai una cosa positiva».
«C’è qualcosa di strano in questi simboli, però» borbottò Rebecca dopo avere indossato il camice e i guanti, iniziando a osservare il corpo senza vita disteso sul lettino metallico.
«Fanno cagare il cazzo. Sembrano disegnati da una succube sbronza».
«Grazie per l’input, Eustass. No, è che sono diversi dagli altri, da quelli che faceva prima. Li avete fotografati? In ogni caso, inizi a fare l’autopsia, a meno che non abbiate intenzione di aiutarmi potete anche aspettare fuori».
«Credici, nanerottola, non ti mollo manco mezzo secondo, che poi esplode pure ‘sto cadavere e sai che schifo? Sai poi quanto mi puzzi di magia nera?»
«Ok, ok, ma sati fermo lì e non fare niente» borbottò Rebecca lanciando un’occhiataccia a tutti quanti «E voi due fuori di qui».
Drake spinge con gentilezza Bonney fuori dalla porta e se la chiuse alle spalle, sospirando piano. Assistere alle autopsie non era in ogni caso qualcosa che gli piaceva fare e comunque aveva altro da fare, tanto per cominciare aveva quel sangue da controllare e un paio di chiamate per accelerare il risultato poteva farle, senza contare quel suo vecchio amico all’interpool a cui chiedere l’accesso ai file internazionali – non che pensasse davvero che questo tipo fosse un criminale di scala internazionale.
Si diresse a passo deciso verso il reparto della scientifica, ma come mise dentro la testa il tecnico scosse il capo, facendogli cenno che doveva aspettare ancora almeno due ore prima di avere i risultati – una seccatura. Per di più il suo vecchio amico non sembrava intenzionato a rispondergli e Drake si sentiva particolarmente inutile.
«Cosa diamine faccio per due ore?» borbottò sovrappensiero.
«Oh, beh, io un’idea ce l’avrei» ridacchiò Bonney avvicinandosi.
«No, scordatelo, nemmeno per idea. Hai passato tutta la mattina ha molestarmi. Cosa che ti ricordo essere illegale in svariati stati del mondo anche quando rivolta a un uomo e non ad una donna».
«Sei un po’ noioso stamattina, sei sicuro di fare abbastanza attività fisica? E per attività fisica intendo sesso… sesso… sesso» celiò il demone, sibilando in modo eccessivamente marcato le esse.
«Ossignore santissimo del cielo e della terra, non ci posso credere. Non avevi detto di essere l’incarnazione della Gola? Non dovresti pensare sempre al cibo? Perché invece sei qui a molestarmi sessualmente?»
La donna sollevò le spalle con indifferenza e si appoggiò alla scrivania vuota del defunto Detective Ideo, al momento utilizzata da Francis.
«Non siamo mica così fiscali giù da basso. Cioè per me mangiare è il primo dei piaceri della vita, ma non disdegno mica il sesso e poi sono curiosa, cioè, stai a brillare tutto il tempo che sembri un cero sacro e un po’ questa cosa mi intriga».
«Non ho capito, sei eccitata dai ceri sacri?»
«No, demente, mi intriga la tua aurea».
«Porco il clero, se non la piantate tutti con sta cosa dell’aurea giuro che mi verrà un esaurimento nervoso, nemmeno ci credo in queste cose».
Bonney rise, piegandosi su di lui e prendendogli il mento con una mano, il pollice delineò con delicatezza la linea a forma di X della sua cicatrice.
«Di fronte a te c’è un arcidemone, cocco bello, in obitorio ce ne sta un altro, il tuo collega è a spasso con Baal, e l’altra sera per poco un’ombra non ti ha divorato. Dimmi ancora che non credi di avere un’aurea».
«Che vita di merda» borbottò l’uomo accasciandosi contro lo schienale della poltrona e passandosi una mano sugli occhi.
«Concordo, quindi alza quelle belle chiappe sode che andiamo a comprarci una ciambella, si ragiona meglio a stomaco pieno, lo sanno tutti».
«Pago io, immagino».
«Mi piaci per questo, Francis, sei sveglio».
«È proprio per questo che non mi piaci» sibilò la voce nella sua testa «Sei approssimativo, disordinato, confusionario in tutto quello che fai forse è per questo che sei stato lasciato indietro Law, forse è per questo che quell’uomo è morto, perché sei inutile. Lo sei sempre stato».
«Stai zitto, Barbanera, stai zitto. Lo so cosa stai cercando di fare, lo so benissimo, tu vuoi confondermi, spingermi verso la disperazione, verso la follia. Per usarmi. Vuoi l’occhio di Tiamat».
Una risata grassa e potente gli rimbombò nella testa.
Ci aveva provato a farlo uscire, a estirparlo come la mala erba, come la gramigna, aveva provato a rinchiuderlo in un angolo della sua mente a sigillarlo per lasciarlo uscire solo su comando, ma non era servito a niente. Barbanera era così forte, così potente e ogni passo avanti che Trafalgar compiva verso la sua vendetta era un passo indietro rispetto alla sua libertà; mentre Barbanera continuava a crescere, crescere, crescere, presto sarebbe stato così forse da schiacciarlo. I suoi occhi avrebbero cambiato colore e sarebbero diventati neri e sarebbe stato lui ad essere imprigionato per sempre nella sua testa e non viceversa. Avrebbe perso il controllo sul suo corpo, sulla sua vendetta, sui suoi pensieri – ed erano già così confusi e contorti, si arrotolavano e intersecavano tra loro, confondendosi in un progredire disordinato di idee, di urla, di ricordi.
Tra un po’ si sarebbe dimenticato persino del perché, perché stesse facendo tutto quello.
«Stai piagnucolando di nuovo, ragazzino».
«Stai zitto, fetente. Per colpa tua ci siamo ritrovati ad ammazzare qualcuno in pieno giorno».
«Eri schermato, non ti ha visto nessuno».
«Credi che mi importi? Credi che abbia paura di essere scoperto? Che vengano a prendermi, non riusciranno a fermarmi finché non sarò riuscito a vendicarmi».
Si appoggiò alla parete di legno del granaio e bevve piccoli sorsi dalla borraccia che aveva tra le mani, una goccia di sangue gli scivolò dalle labbra, andando a macchiare la camicia bianca, sporca in più punti che indossava.
«Questa roba fa vomitare».
«Bevi moccioso, a meno che tu non desideri che il tuo corpo si disfi a causa del mio potere, bevi e stai zitto».
«Non ho intenzione di disfarmi, non ho ancora visto la sua testa separarsi dal suo corpo, o sbaglio».
«Pazienza, ho detto, pazienza. Come speri di farlo se non sei ancora riuscito a controllare l’ombra? E in ogni caso non dipende da quello che vuoi, ma dalla resistenza del tuo corpo».
Law digrignò i denti, bestemmiando sommessamente. Era consapevole che Moloch avesse ragione, tuttavia non riusciva ad accettare la situazione; quella sensazione di inadeguatezza, di impotenza che lo pervadeva oramai da mesi gli impediva di dormire la notte. Certo, forse c’era anche il senso di colpa che non aiutava, ma Law era disposto a pagare qualsiasi prezzo, e comunque se quella gente lavorava con Doflamingo voleva dire che poi così innocente non era o si sarebbe trovata qualcosa di più onesto, qualcuno di migliore.
La verità è che forse nemmeno gli importava, non gli interessavano le loro vite, i loro problemi, le loro fatiche, erano solo un mezzo per arrivare a uno scopo e lo scopo era la testa di Donquijote su un piatto d’argento, la sensazione di essersi finalmente vendicato, la consapevolezza di averlo battuto.
Certo per farlo si era dannato, aveva venduto la sua anima, aveva ucciso, torturato, versato sangue e probabilmente sarebbe finito all’inferno, ma non era che un piccolo prezzo da pagare e lui era più che ben disposto a pagarlo. Tutto pur di vedere quell’uomo morto.
Si alzò in piedi e osservò con aria disgustata il pavimento del granaio. Era sporco di sangue, nel centro spiccava un’enorme pentacolo con una stella a cinque punte rovesciata, segni e simboli erano sparsi per tutta la stanza, assieme a candele e coltelli di diverse dimensioni. Appoggiata a un lato del granaio si trovava una brandina, la struttura era in ferro arrugginita e rovinata dal tempo, il materasso era sgualcito e sporco, puzzava di sangue rappreso e di terra. Law dormiva lì.
Oramai non sentiva più il freddo, non sentiva più il caldo, né il dolore, né aveva inibizioni di alcun genere. La verità è che il suo amor proprio stava lentamente sparendo, assieme al suo amor proprio, al rispetto per se stesso, alla voglia di vivere.
Aveva da lungo cessato all’idea di vivere e in fondo andava bene così, non aveva nessuno con cui condividerla quella vita e non aveva alcun interesse nell’essere felice.
«Il catalizzatore funziona?» domandò, più a sé stesso che a Moloch.
«Se non funzionasse saresti morto, sei molto fortunato ragazzino, l’occhio di Tiamat è uno degli artefatti magici più potenti che si possano ritrovare nel vostro mondo. Ne avessi scelto un altro saresti già morto».
«Anche se non mi hai ancora voluto dire per cosa vuoi usarlo.
Tu vuoi la tua vendetta, umano. Io voglio la mia e sono secoli, no millenni che aspetto di riuscire a portarla a termine.
«Sembra un sacco di tempo» borbottò Law, lasciandosi cadere sul materasso «Non so come spiegarti quanto poco mi importi della tua vendetta e dei tuoi problemi, Barbanera. Davvero, meno di zero».
«Fai pure lo sbruffone, marmocchio, ma ricordati che anche quell’amuleto non potrà proteggerti per sempre e prima o poi morirai e io avrò la mia vendetta anche su di te».
«L’unica cosa che dovresti fare è prendere un calmante, perché a me sembra tanto che tu vada a cercare vendetta nei confronti di chiunque ti rivolga la parola in un modo che non ti piace».
«Insolente».
«Non per fare il babbano, ma secondo me non sta funzionando».
«Che cos’è diavolo è un babbano?» domandò Cavendish roteando gli occhi verso l’alto.
«Babbano» sibilò nuovamente Bartolomeo, stringendo gli occhi e guardandolo con aria di evidente disapprovazione.
«Volete tacere?» Alvida picchiettò le unghie contro la pavimentazione di cemento della strada e borbottò qualcosa di incomprensibile, quindi sollevò lo sguardo su Basil «Hai della cenere di sorbo nel bagagliaio di quella vettura?»
«Ho tutto. Sempre» la voce di Hawkins era seria, non c’era traccia di arroganza, la sua era una semplice constatazione e quel tono era lo stesso che avrebbe usato per rispondere a una domanda sul tempo.
Si allontanò di poco, incamminandosi verso la macchina e, aperto il bagagliaio, estrasse un barattolo di notevoli dimensioni.
«Fate due passi indietro» ammonì gli altri, svitando con gesti sicuri il tappo e passandolo ad Alvida.
Quindi con un rapido movimento del braccio svuotò il contenuto, una cenere nera e scura, disomogenea e leggermente odorosa, sulla strada, proprio nel punto in cui a detta di Drake l’uomo si era mutato in ombra.
Bartolomeo assistette con gli occhi sgranati, aspettando che accadesse qualcosa; le ceneri lievitarono per qualche secondo in aria e quindi si depositarono a terra, strappandogli un gemito di disappunto.
«Eccezionale!» si congratulò invece William, battendo le mani con entusiasmo, «sarà molto più facile trovarlo così!»
«Così come? Non vedi che è caduta tutta a terra?» si lamentò Bartolomeo, passandosi una mano nei capelli.
«Voi umani non vedete proprio niente, vero?» Cavendish roteò gli occhi e prese l’uomo per un braccio avvicinandolo a sé «Ci penso io».
Le sue labbra si appoggiarono su quelle di Bartolomeo in un bacio leggero, era una sensazione che entrambi conoscevano già, le loro labbra si erano già incontrate e non era mai successo niente prima, ma questa volta dagli occhi socchiusi di Cavendish baluginò una leggera luce azzurrina che investì con delicatezza la figura di Bartolomeo.
«Ecco, guarda ora».
«OH-MIO-DIO!» esclamò l’umano, gli occhi gli brillavano per la meraviglia e l’esaltazione «Adoro la magia!»
Di fronte a lui si dipanava a mezz’aria una scia verde brillante, composta da migliaia di minuscoli cristalli di cenere bloccati a mezz’aria e solidificati in una strada invisibile.
«Molto bene» si congratulò Alvida, mordendosi leggermente il labbro inferiore «È ora di andare a caccia».
6110 Parole - NSFW
La porta dell’appartamento si spalancò con un tonfo sordo.
Drake e Bonney stavano in piedi nell’androne, il primo tenendo in mano una pezza insanguinata, la seconda tenendosi il costato; fissarono per qualche istante le facce sbalordite dei loro ignari compagni, finché Cavendish fece un passo in avanti, agitando convulsamente una mano.
«Aspetta, aspetta, aspetta! Non entrare che mi macchi il divano e il tappeto e il sangue non va via, vero Rebecca che non va via?»
«Ma ti sembra un problema?» sbraitò la sua ragazza, correndo con occhi sgranati verso i due e facendoli entrare «Non vedi che è ferita?»
Bonney sollevò le spalle e le scrollò con l’aria di chi non si aspetta niente.
«Stai tranza, ciccia, che qua non ci stanno mica problemi. Io tanto guarisco».
«E nel frattempo mi macchi il divano».
«Vuoi stare zitto, William?» Bartolomeo si avvicinò al demone e gli tirò un leggero scappellotto sul capo.
Drake roteò gli occhi, richiudendo la porta di gran fretta, quindi si prese la stoffa macchiata di sangue e la piazzò sul tavolo della cucina, come se fosse un trofeo.
«Che schifo, cazzo, ci mangiamo su quel rottame di legno, vuoi levare quella merda da lì?».
«Taci, Kiddo, abbiamo avuto un’idea geniale, stavamo in lavanderia-»
«Cosa diavolo stavate facendo in una lavanderia? Di notte? Dopo il coprifuoco?» Alvida scosse leggermente il capo senza capire, quindi si bloccò di scatto «Oddio, aspetta, non rispondere a questa domanda, non voglio saperlo».
Basil sollevò un sopracciglio, fingendo un interesse che non provava; Kidd sorrise sotto i baffi che non aveva e Cavendish drizzo improvvisamente le orecchie, finalmente un discorso di spessore. Peccato che Francis demolì ogni aspettativa ancora prima che venisse costruita.
«Non avete capito un cazzo» sbottò, non curandosi affatto di conoscere quelle persone da meno di ventiquattro ore «Stavo cercando Bonney, come vi ricordo che mi avevate chiesto voi stessi di fare, e sono arrivato proprio mentre un’ombra, cioè un tizio, uno fatto d’ombra, cercava di accoltellarla. L’ha tagliata sul torace, gli ho sparato e poi siamo scapati per sfuggire all’ombra».
«Non ho capito» berciò Bartolomeo aggrottando la fronte «Hai sparato all’ombra? Era tipo un fantasma?»
«Non dire stronzate».
«Affascinante, quindi avete visto il tramite!» affermò Basil, improvvisamente interessato alla piega che aveva preso la conversazione.
«E se c’è un tramite…» continuò Alvida fissandolo e facendo un passo verso di lui.
«C’è anche un catalizzatore e probabilmente anche…»
«Anche un altare da evocazione. Se riusciamo a trovare dei residui magici nella zona dell’attacco…»
Basil si alzò in piedi e aggrottò le sopracciglia, facendo un passo nella direzione di Alvida: «Possiamo risalire alla fonte e trovare l’altare, e a quel punto basterà aspettare che si faccia vivo…»
«E distruggere il catalizzatore!» esclamarono insieme.
«Sto per vomitare» fece loro presente Kidd, guardandoli con aria disgustata «Almeno questo tizio fa fuori la gente, come un vero demone dovrebbe fare, noi siamo qua a giocare con gli umani, Bonney probabilmente a limonarli, e mentre questo va in giro ad ammazzare gente io sono costretto a guardare queste scenette pietose da nerd esaltati».
Venne ignorato.
«Cos’è un catalizzatore?» domandò Rebecca, facendo un passo avanti.
«Un umano da solo non può contenere il potere di un demone, puoi farci un patto, questo sì, ma il tuo corpo, il tuo fisico non è adeguato alla quantità di energia e di potere che un patto continuativo che preveda l’utilizzo e la condivisione delle prerogative del demone comporta».
«Non ho capito» Bartolomeo fissò Alvida per qualche minuto «Quindi io e Rebecca potremmo morire?».
«No, esistono diversi tipi di patti con le creature soprannaturali. Quello che avete stretto voi è basato sulla semplice evocazione; William è legato a voi, ma non in modo permanente, potrebbe semplicemente esaudire la vostra richiesta e sarebbe libero di andarsene. Questo genere di contratto a senso unico è detto “Evocazione Invasiva”, perché è invasiva per noi, ma c’è anche da dire che spesso l’evocatore viene semplicemente eliminato»
«Poi c’è la cessione dell’anima, adoro quel genere di contratto» celiò William interrompendola e beccandosi un’occhiataccia «La cosa più divertente sono le loro espressioni terrorizzate quando dopo dieci anni ti presenti a prendertela e loro non sanno più cosa fare».
«Esatto, e la terza, quella di cui parliamo in questo caso è la condivisione del potere; l’umano e il demone stringono un patto di convisione dei rispettivi corpi e dei rispettivi poteri. Il demone può camminare in sembianze umane e andare in giro indisturbato, mentre l’umano puòò usufruire dei suoi poteri. Sono patti rari perché il corpo umano non tollera che il potere scorra nelle sue vone troppo a lungo, si rompe. Per mantenerli è necessario un catalizzatore, un artefatto magico che faccia da tramite per il potere in modo che l’umano non debba contenerlo eccessivamente nel suo corpo che si corroderebbe dall’interno. Quindi, nel nostro caso sappiamo tre cose: l’umano in questione o è molto forte o molto stupido, il demone evocato vuole qualcosa da lui o non avrebbe mai accettato un simile fatto, sta aspettando che muoia per prenderselo. Il che vuol dire che con ogni probabilità si tratta proprio del catalizzatore».
«E non mi è chiaro, come vorreste recuperarlo, esattamente?» domandò Bonney, sollevando un sopracciglio.
«Seguiremo i residui magici fino all’altare e lì aspetteremo» propone Hawkins, ottenendo un cenno di approvazione da Alvida.
«Oppure potremmo, tipo, fare un test del DNA sul sangue del Serial Killer, che ne dite? Troppo umano? Troppo veloce? Troppo scientifico?» Drake sventolò il pezzo di stoffa – che una volta era stato la giacca del suo completo – di fronte ai nasi dei presenti, strappando un sorrisino soddisfatto a Bonney.
«Scusa come? E dove lo avresti trovato?»
«Quale parte di ‘ho sparato all’assassino’ non era chiara? La parte in cui sparo o quella in cui il tizio ha cercato di accoltellare Jewelry?»
«Faremmo comunque prima a cercarlo con la magia» commentò William, sollevando le spalle.
«Già, concordo anche io» Basil, annuì convinto.
«State scherzando? Sto posto pullula di magia!» si lamentò Bonney «Come farete a riconoscere la sua traccia dalla nostra, da quella di William?»
«S c i e n z a» sillabò piano Drake agitando il panno.
«Io me ne tiro fuori» borbottò Kidd «E comunque serve qualcuno che faccia da guardia del corpo alla piccola cagacazzo».
«Grazie, Eustass» borbottò Rebecca «E comunque, se proprio non sapete cosa fare, potete sempre dividervi in due gruppi. Uno che cercherà gli indizi magici e l’altro che si baserà sui fatti scientifici, così avremmo ben due piste da seguire e il doppio delle possibilità di trovare l’assassino».
Capitolo 3
C’erano tre cose che Donquijote Doflamingo amava sopra ogni cosa: il potere, il rosa e sé stesso.
Al momento aveva tutte e tre, era sindaco di Dressrosa, amato dai suoi cittadini, circondato da un entourage che lo venerava e lo adulava quasi fosse una divinità, aveva un nuovo cappotta di piume rosa – di importazione fatto con vere piume di fenicottero rosa morto, e non gli interessava minimamente che fosse illegale, dovevano pensarci prima di farsi sparare, quegli stupidi pennuti – e aveva anche un gigantesco specchio sul soffitto in cui rimirare la sua meravigliosa immagine finché non fosse stato pago di tanta bellezza. Non che fosse mai abbastanza. C’erano giorni in cui passava ore e ore intere ad ammirare il suo riflesso, pensando a come l’aria di quel posto avesse fatto bene alla sua carnagione, a quanto fossero biondi i suoi capelli e luminosi i suoi occhi. Insomma, priorità. A volte si sarebbe limonato da solo se avesse potuto, ma siccome la cosa era in qualche modo complicata aveva deciso che avrebbe limonato la sua segretaria – e Viola Dold non si era di certo dimostrata riluttante quando l’aveva presa con un braccio e attratta a sé. C’era quel un sorriso ironico e sexy sulle labbra della figlia dell’ex Sindaco che gli aveva acceso un fuoco nel basso ventre e da lì era storia. Almeno per quelli che lavoravano con lui, quelli che gli erano fedeli, che lo avrebbero seguito anche all’inferno.
Il problema era un altro, il problema era che benché avesse tutto quello che un individuo del suo calibro potesse desiderare, qualcuno aveva pensato bene di venire a casa sua e rovinargli le uova nel paniere. Di tutte le cose irritanti che potevano capitargli quella era sicuramente la più spiacevole e irritante, e non si trattava solo del fatto che fosse un attacco personale alla sua organizzazione, aveva oramai un’età per la quale era abituato agli attacchi personali, non si sconvolgeva più di tanto. Ma ammazzare gente in quel modo? La sua gente? Eliminare un’intera divisione del commissariato per attirare l’attenzione dell’FBI? Oh, diamine, ci mancava giusto l’FBI. Non aveva idea di chi fosse l’esimio cazzone che aveva deciso di prendersela con lui, ma chiaramente quello era esagerare e quel tizio non doveva starci per niente con la testa, ma proprio per niente.
Proprio per questo motivo aveva deciso di indire una riunione, radunare la cerchia stretta e venire a capo del problema. Non che i suoi collaboratori brillassero per acume, ma da qualche parte doveva pur iniziare e aveva profonda necessità di liberarsi di quella mosca fastidiosa che sembrava a tutti i costi voler minare le basi della sua organizzazione.
«Molto bene» esordì, di fronte alla tavolata di persone che lo fissavano con aria corrucciata «Voglio sentire soluzioni al problema, e ne voglio di definitive».
«Questo non è un problema, Boss» celiò Trebol con la stessa espressione sveglia di una zucchina «Cioè siamo sempre stati bravi a fare queste cose, no? Ricorda-»
«Non ti ho chiesto di ricordare i magici momenti trascorsi assieme, idiota, ti ho chiesto una soluzione».
«Beh, lo prendiamo e lo ammazziamo, o lo facciamo fare a qualcuno» commentò Pica, grattandosi la nuca.
«Brillante, davvero. E come proponi di trovarlo? Metti un annuncio? Cercasi serial killer che rompe le scatole al sindaco, pregasi di consergnarsi, lauto compenso in oro?» domandò Diamante, sollevando un sopracciglio «Sono sicuro che lo farà sicuramente, consegnarsi intendo, dopo tutto siamo persone di buon cuore».
«Ma non è mai vero».
«Stai zitto Pica, imbecille».
Doflamingo si massaggiò le tempie con crescente irritazione, quindi sbatté le mani sul tavolo e li fissò tutti quanti con uno sguardo glaciale.
«Mi chiedo» sibilò tra i denti «Quale sia il vostro problema, e di conseguenza il mio che mi ostino a tenervi vicini. Ora, questo tizio di cui non sappiamo niente, sta seminando il panico nella mia città, sta versando del sangue nella mia città, sta ammazzando gente nella mia città. NELLA MIA FOTTUTA CITTA’».
Parte dei presenti incassò leggermente la testa tra le spalle, sperando vanamente di sfuggire all’ira del sindaco.
«Voglio sapere chi è, come si chiama, quanti anni ha, dove vive, se ha una famiglia, cosa gli piace mangiare, voglio sapere quante volte va al cesso a pisciare, se mette lo zucchero nel caffè, e voglio sapere perché cazzo ha deciso di venire nella mia città a interrompere i miei traffici e a rompermi il cazzo. Voglio sapere tutto e lo voglio sapere in fretta e quando dico in fretta intendo che avete ventiquattrore prima che io perda del tutto la pazienza e vi appenda fuori dalla porta a testa in giù per scongiurare il fottuto malocchio» si fermò per riprendere fiato, i capelli scarmigliati sulla fronte, gli occhiali leggermente storti sul naso e il petto ansante «Sono stato chiaro?»
«Sissignore, signore»
«E allora perché siete ancora qui? Muovetevi, fuori dalle palle. RAUSS». Si sistemò gli occhiali e si lasciò cadere a sedere con fare teatrale sulla poltrona sistemata a capotavola «Sugar, sii carina e portami un caffè, americano, nero e senza zucchero e il più forte possibile».
Appoggiò le gambe sul poggia piedi e chiuse gli occhi, crogiolandosi nell’abbraccio della sua giacca di piume rosa, era sicuro che ci fosse qualcosa che gli stava sfuggendo, perché chiunque fosse la persona dietro a quegli omicidi si doveva trattare di qualcuno che conosceva la città, che conosceva lui, che sapeva dove colpire. Borbottò qualcosa di inintelligibile, mentre con una mano si abbassò gli occhiali da sole dalla montatura in avorio sugli occhi ancora serrati.
«Chiamatemi Vergo» sibilò, la sua voce era così sottile e il tono tanto basso che per poco nessuno lo udì – e sarebbero state terribili le conseguenze se nessuno lo avesse fatto, ma si erano abituati ad obbedire a qualsiasi sussurro anche il più flebile.
«Dof, mi hai fatto chiamare?»
«Ragiona con me, vecchio mio» lo pregò l’uomo raddrizzandosi e accavallando le gambe incredibilmente lunghe e sottili «Seguimi in questo ragionamento e dimmi, in tutta sincerità, se ti sembra sensato o se con l’età mi sto trasformando in un vecchio paranoico – nel caso usa un altro termine che odio sentirmi dire che sono vecchio, lo sai».
«Ti ascoltò» Vergo si grattò la barba, lasciando cadere a terra alcune briciole di cibo che vi erano rimaste incastrate.
«A quanto pare questo qualcuno che attraversa la nostra città. Il nostro territorio, con tanta arroganza, pensa davvero che un paio di morti possano danneggiare l’organizzazione, ma non uccide necessariamente le persone dell’organizzazione, quindi in base a cosa le sceglie?»
«Mi sono permesso di portarle una copia dei rapporti della polizia, della scientifica e dell’anatomopatologa. Apparentemente non c’è niente che accomuni le vittime se non il fatto che sono tutte donne, giovani, piacenti e in qualche modo legate alla nostra organizzazione».
«Tutte? E questa Esta?»
«Ha partecipato all’operazione T.B., Dof, ruolo di importanza secondaria, informatrice».
«Capisco» l’uomo sfogliò distrattamente le pagine del rapporto, fermandosi quindi di fronte alle foto delle vittime «Quindi si tratta di qualcuno che conosce l’organizzazione e sa chi ci lavora, qualcuno che ne sa abbastanza da riuscire a riconoscere chi lavora per noi da chi non è che una figura di passaggio».
«Sì, ho notato anche io, e ci sono anche i simboli incisi sui corpi delle vittime, come se volesse evocare qualcosa, o qualcuno. Ma non si tratta di omicidi compiuti da un semplice fanatico satanista, si tratta di una persona di cultura, di qualcuno che ha una vaga idea di cosa stia facendo, questi termini, questi simboli hanno tutti provenienza sacra, sono contenuti della mitologia cristiana, in quella ebraica, mesopotamica, occidentale».
«Una persona di cultura che sa dove colpire e sa chi colpire, dimmi se sbaglio, Vergo, ma credo che il posto giusto da cui partire…»
«Sia tra i ranghi stessi della nostra organizzazione, la penso allo stesso modo, Dof».
«Anche se dubito si tratti di qualcuno di attivo, deve essere una recluta, o un ex membro, qualcuno che è stato respiro o che abbiamo dato per morto. Voglio che li controlli tutti, Vergo, ogni singolo possibile candidato, voglio che li controlli, la valuti caso per caso e torni da me con un nome».
«Sissignore».
«E dopo che avrai trovato quel nome, uscirai dal palazzo, lo cercherai, gli sparerai nelle rotule, gli romperai la milza e lo porterai da me perché possa spaccargli faccia ed estrargli i denti uno a uno finché non lo vedrò piangere davanti a me chiedendo perdono».
«Come sarebbe a dire che è successo di nuovo?» domandò Rebecca, agitando il telefono davanti alla bocca come se fosse stata colpa dell’oggetto.
«Sarebbe a dire» gracchiò la voce di Drake dall’auricolare «che abbiamo trovato un’altra vittima, un nuovo morto, l’assassino ha colpito ancora, le -»
«Grazie, quello lo avevo colpo, ma non avevi detto che gli avevi sparato?» sibilò, questa volta con maggiore discrezione, accostando il telefono alla bocca «Quando ha avuto il tempo di colpire di nuovo, di uccidere una persona e incidervi sopra tutti i simboli del caso? Perché è questo il suo modus operandi, ti ricordo e non è esattamente una tipologia di omicidio che prende poco tempo».
«Secondo il sindaco deve essere accaduto questa mattina».
«Cosa c’entra adesso il sindaco?»
«La vittima lavorava per lui, si chiamava Sugar qualcosa, non ricordo, ho lasciato i fascicoli all’obitorio del dipartimento visto che quello comunale è inagibile».
«Oh, no, credo fosse la sorella di una delle vittime, è terribile».
«Davvero? Beh, almeno questa sarebbe una pista. Vado a raccattare Bonney e ci vediamo all’obitorio tra mezz’ora?»
«Sì, sì, vedo dov’è finito Eustass e arrivo» rispose Rebecca, chiudendo la chiamata.
Rimase a lungo a fissare il telefono, osservando con sguardo corrucciato la schermata nera di blocco, desiderando di essere in qualsiasi posto tranne che lì. Ultimamente a Dressrosa stavano accadendo cose troppo strane per essere considerate accettabili, e davvero non era nemmeno per i demoni che le giravano per casa, non era quello il problema. Era quel sentore di morte, quella sensazione di impotenza e la consapevolezza di essere nelle mani di forze incontrollabili per più potenti di lei. C’era un ordine naturale delle cose che era stato sovvertito e ora attraversavano le strade di una città governata da un disordine innaturale, pervasa da un alone di magia che non sarebbe dovuto essere presenta, come infestata da creature che non sarebbero dovute esistere.
Rebecca sospirò piano, infilando la testa in salotto e guardandosi attorno, Kidd dormiva sul divano, degli altri non c’era traccia. Era già una fortuna che Kidd fosse lì. Alvida aveva preso in affitto – non si sapeva bene come – un appartamento da tre stanze nello stesso condominio, in modo tale da non vivere in sei in quel tugurio – che nemmeno era un tugurio, anzi, quel termine era quasi offensivo, dopotutto quell’appartamento era stato di sua madre ed era pieno di ricordi meravigliosi. In ogni caso si erano divisi, e non si erano semplicemente divisi in due gruppi, uno per la ricerca scientifica (composto da Drake, Bonney, Kidd e Rebecca) e uno per la ricerca magica (con Alvida, Hawkins, Bartolomeo e William), ma si erano proprio divisi in coppie di modo che ogni essere umano fosse controllato – e a suo modo protetto – da uno dei demoni.
Rebecca era rimasta un po’ piccata per il fatto che in questo modo Bartolomeo e Cavendish sarebbero stati in giro tutto il giorno, assieme, senza di lei, ma come William le aveva fatto notare poteva pensarci prima di diventare un medico e fare invece la cartomante, in quel odo sarebbero stati tutti felici e contenti a braccetto a indagare sulle stesse cose. Rebecca gli aveva tirato un mestolo in testa ed era stato a quel punto che Kidd si era proposto di farle da scorta – e di insegnarle come uccidere una persona con un cucchiaio, ma questa offerta la giovane l’aveva gentilmente declinata.
«Non sto davvero dormendo e sappi che se hai intenzione di tirarmi un cuscino per farmi alzare ti strappo le braccia. E non è un eufemismo».
Rebecca si bloccò di colpo, fermandosi sul posto e sospirando; mise le braccia davanti a sé, mostrando al demone che in mano non aveva niente e che di sicuro non aveva voglia di provocare l’ira di Wrath con uno scherzo cretino.
«Non mi passava nemmeno per l’anticamera del cervello, e una parte di me si chiede chi possa essere così stupido da pensare anche solo lontanamente che tirarti qualcosa possa essere una buona idea».
«Brava, mi piaci sempre di più, mi raccomando, fallo presente anche a quel cretino di Cavendish la prossima volta, così non sono costretto a distruggergli il roseto per vendicarmi».
«Non sono sicura di voler sapere niente».
Kidd la ignorò, mettendosi a sedere e stiracchiandosi.
«E la volta prima per ripicca gli ho pisciato sui tulipani».
«Oh santa pace».
«Non c’è niente di santo a questo mondo, piccoletta, niente. E di sicuro non la pace, meglio la guerra, meglio il sangue e meglio la morte, vuoi mettere cosa sia più divertente?»
«Ti prego, non voglio saperne niente. C’è stato un altro omicidio, andiamo».
Kidd saltò in piedi, felice come una pasqua; aveva la stessa espressione di un bambino a cui hanno appena detto che Babbo Natale sarebbe passato una seconda volta quell’anno e che gli avrebbe portato esattamente quello che aveva richiesto.
«La vita è meravigliosa» esclamò sbattendo le mani.
«Solo se sei vivo» ironizzò Rebecca, guardandolo storto.
«Cosa abbiamo, cosa? Cosa? Come le uccide? Sono donne? Sono uomini? Sono bambini? Mah, conoscendolo sono vergini, vecchio porco laido».
«Verg- Come fai a saperlo? Non l’ho nemmeno scritto nel rapporto».
«Minchia, sono quattromila anni che sto panzone fetente ogni fottuta volta che viene evocato fa fare sacrifici umani ai suoi seguaci, gli basta che si tratti di donne e che siano vergini, poi per il resto è uno di quelli a cui va bene tutto purché abbia un paio di tette e non l’abbia ancora regalata».
«Non so» borbottò Rebecca infilandosi il cappotto e prendendo al volo la borsa «È che trovo questa cosa di usare le vergini come sacrifici terribilmente demodé, alla fine quello che vi interessa non è il sangue? Cioè lasciando stare i simboli che incide sulla carne – William mi spiegava che hanno principalmente valore evocativo, trasferimento del potere, tortura, e altre amenità – ma alla fine quello che vi soddisfa è il sangue, giusto? Il dolore che prova la vittima».
«Sì, infatti alla maggior parte di noi va bene qualsiasi sacrificio, ma ti dirò il sacrificio umano per sé è passato di moda, a nessuno importa davvero che gli vengano sacrificate delle persone. Io? Io preferisco la guerra, mi nutro della guerra e mi ci crociolo dentro, e non serve mica che me la dedichino».
«Ma a… a Lui sì?»
«Perché il vecchio Barbanera è un barbaro, un trucido, uno schifoso».
«Amato da tutti, noto».
Kidd aprì la porta di ingresso e la fece uscire, seguendola a sua volta.
«Non fraintendermi, piccoletta, è stato un grande demone. C’è stato un momento in cui qualcuno ha pensato che sarebbe riuscito a detronizzare Luci e a prendere il suo posto – non io, ovviamente, in realtà nessuno dei sette, siamo troppo legati tra noi – ma alcuni demoni minori lo seguirono. Ci fu una guerra, una guerra vera, non di quelle che fate voi, con qualche morto e qualche bomba, ci avvicinammo pericolosamente all’estinzione in quel momento. La nostra, la vostra, la fine di tutto. Da quel momento tutto cambiò e Barbanera venne umiliato, ferito e gettato nel fondo dell’inferno, in qualche girone dimenticato da cui strisciò fuori solo perché ci dimenticammo di lui. Continuò a scassare il cazzo. Nessuno è più odiato di lui all’inferno e sono sicuro che Luci ancora sta attendo che non gli scivoli tra le mani».
«Per questo siete qui? Per controllarlo?»
Eustass sbuffò, guardandola di sottecchi e le tirò con leggerezza la treccia.
«Non usare quel tono sarcastico, piccoletta, siamo demoni, ma abbiamo sentimenti, siamo in grado di creare dei legami di amicizia, dei legami affettivi, ci vogliamo bene a modo nostro. Anche se il modo di esprimerlo non sempre si confà ai vostri metodi e ai vostri standard. Voi umani vi rinchiudete in categorie, settorializzate tutto ciò che potete e non potete fare e poi ve la menate con quelle cazzo di norme sociali di merda che vi complicano la vita in modo ridicolo e imbarazzante. Noi non abbiamo di questi problemi. Non ce li poniamo nemmeno».
Rebecca lo fissò, senza dire niente, continuano a camminare al suo fianco.
«Noi sette siamo legati. Siamo l’incarnazione dei peccati capitali, dei vizi dell’uomo e non possiamo davvero esistere l’uno senza l’altro, per questo ci destabilizza in qualche modo che Lucifero sia in grado di farlo – e come non potrebbe, in fondo è Pride e ne andrebbe del suo orgoglio se non ci riuscisse. Ma in ogni caso siamo legati, siamo dipendenti l’uno dall’altro. E quindi sì, se abbiamo accettato di restare a controllare è principalmente perché non vogliamo che sia Luci a doverlo fare, ha sempre odiato il Barbanera, con tutto il cuore, lo ha destabilizzato quel suo tentativo di venirgli incontro, di soppiantarlo, perché a suo modo si fidava di lui. Meglio se ce ne occupiamo noi, finché riusciamo».
«Sono quasi commossa. Ho detto quasi».
Aprì la porta della centrale di polizia e si diresse con passo sicuro verso il piccolo obitorio nel quale era stato trasferito il corpo della vittima. Una stanza di dimensione ridotte, usata per le autopsie di emergenza, dai colori freddi. Puzzava di morte e disinfettante, due odori che Rebecca conosceva fin troppo bene, ma che mai fino a quel momento aveva associato a qualcosa di realmente negativo.
«Buongiorno» borbotto, salutando l’agente dell’FBi e il demone che lo accompagnava «Cosa abbiamo qui?»
«Donna, 22 anni, lavorava al municipio per il Sindaco. È uscita verso le dieci per andare a fare delle commissioni, quando non è tornata il sindaco si è insospettito e ha mandato qualcuno a cercarla, l’hanno trovata dietro alla piazza con la fontana, in un vicolo non poi così isolato».
«Povera Sugar, era così giovane e piena div ita! Non ci posso credere» Rebecca si passò piano le mani sugli occhi e fissò il corpo minuto steso sul tavolo «Così tanta violenza, ma poi scusa in pieno giorno? Fino ad adesso ha sempre colpito di notte».
«È diventato più frettoloso, guarda questi segni, sono poco curati, il lavoro è stato fatto di fretta, forse gli tremava la mano. Sta diventando meno prudente».
«E non è meglio così, ciccio?»
«Sì, beh, aumentano le possibilità di prenderlo, ma è anche più facile che aumenti il numero delle vittime e questa non è mai una cosa positiva».
«C’è qualcosa di strano in questi simboli, però» borbottò Rebecca dopo avere indossato il camice e i guanti, iniziando a osservare il corpo senza vita disteso sul lettino metallico.
«Fanno cagare il cazzo. Sembrano disegnati da una succube sbronza».
«Grazie per l’input, Eustass. No, è che sono diversi dagli altri, da quelli che faceva prima. Li avete fotografati? In ogni caso, inizi a fare l’autopsia, a meno che non abbiate intenzione di aiutarmi potete anche aspettare fuori».
«Credici, nanerottola, non ti mollo manco mezzo secondo, che poi esplode pure ‘sto cadavere e sai che schifo? Sai poi quanto mi puzzi di magia nera?»
«Ok, ok, ma sati fermo lì e non fare niente» borbottò Rebecca lanciando un’occhiataccia a tutti quanti «E voi due fuori di qui».
Drake spinge con gentilezza Bonney fuori dalla porta e se la chiuse alle spalle, sospirando piano. Assistere alle autopsie non era in ogni caso qualcosa che gli piaceva fare e comunque aveva altro da fare, tanto per cominciare aveva quel sangue da controllare e un paio di chiamate per accelerare il risultato poteva farle, senza contare quel suo vecchio amico all’interpool a cui chiedere l’accesso ai file internazionali – non che pensasse davvero che questo tipo fosse un criminale di scala internazionale.
Si diresse a passo deciso verso il reparto della scientifica, ma come mise dentro la testa il tecnico scosse il capo, facendogli cenno che doveva aspettare ancora almeno due ore prima di avere i risultati – una seccatura. Per di più il suo vecchio amico non sembrava intenzionato a rispondergli e Drake si sentiva particolarmente inutile.
«Cosa diamine faccio per due ore?» borbottò sovrappensiero.
«Oh, beh, io un’idea ce l’avrei» ridacchiò Bonney avvicinandosi.
«No, scordatelo, nemmeno per idea. Hai passato tutta la mattina ha molestarmi. Cosa che ti ricordo essere illegale in svariati stati del mondo anche quando rivolta a un uomo e non ad una donna».
«Sei un po’ noioso stamattina, sei sicuro di fare abbastanza attività fisica? E per attività fisica intendo sesso… sesso… sesso» celiò il demone, sibilando in modo eccessivamente marcato le esse.
«Ossignore santissimo del cielo e della terra, non ci posso credere. Non avevi detto di essere l’incarnazione della Gola? Non dovresti pensare sempre al cibo? Perché invece sei qui a molestarmi sessualmente?»
La donna sollevò le spalle con indifferenza e si appoggiò alla scrivania vuota del defunto Detective Ideo, al momento utilizzata da Francis.
«Non siamo mica così fiscali giù da basso. Cioè per me mangiare è il primo dei piaceri della vita, ma non disdegno mica il sesso e poi sono curiosa, cioè, stai a brillare tutto il tempo che sembri un cero sacro e un po’ questa cosa mi intriga».
«Non ho capito, sei eccitata dai ceri sacri?»
«No, demente, mi intriga la tua aurea».
«Porco il clero, se non la piantate tutti con sta cosa dell’aurea giuro che mi verrà un esaurimento nervoso, nemmeno ci credo in queste cose».
Bonney rise, piegandosi su di lui e prendendogli il mento con una mano, il pollice delineò con delicatezza la linea a forma di X della sua cicatrice.
«Di fronte a te c’è un arcidemone, cocco bello, in obitorio ce ne sta un altro, il tuo collega è a spasso con Baal, e l’altra sera per poco un’ombra non ti ha divorato. Dimmi ancora che non credi di avere un’aurea».
«Che vita di merda» borbottò l’uomo accasciandosi contro lo schienale della poltrona e passandosi una mano sugli occhi.
«Concordo, quindi alza quelle belle chiappe sode che andiamo a comprarci una ciambella, si ragiona meglio a stomaco pieno, lo sanno tutti».
«Pago io, immagino».
«Mi piaci per questo, Francis, sei sveglio».
«È proprio per questo che non mi piaci» sibilò la voce nella sua testa «Sei approssimativo, disordinato, confusionario in tutto quello che fai forse è per questo che sei stato lasciato indietro Law, forse è per questo che quell’uomo è morto, perché sei inutile. Lo sei sempre stato».
«Stai zitto, Barbanera, stai zitto. Lo so cosa stai cercando di fare, lo so benissimo, tu vuoi confondermi, spingermi verso la disperazione, verso la follia. Per usarmi. Vuoi l’occhio di Tiamat».
Una risata grassa e potente gli rimbombò nella testa.
Ci aveva provato a farlo uscire, a estirparlo come la mala erba, come la gramigna, aveva provato a rinchiuderlo in un angolo della sua mente a sigillarlo per lasciarlo uscire solo su comando, ma non era servito a niente. Barbanera era così forte, così potente e ogni passo avanti che Trafalgar compiva verso la sua vendetta era un passo indietro rispetto alla sua libertà; mentre Barbanera continuava a crescere, crescere, crescere, presto sarebbe stato così forse da schiacciarlo. I suoi occhi avrebbero cambiato colore e sarebbero diventati neri e sarebbe stato lui ad essere imprigionato per sempre nella sua testa e non viceversa. Avrebbe perso il controllo sul suo corpo, sulla sua vendetta, sui suoi pensieri – ed erano già così confusi e contorti, si arrotolavano e intersecavano tra loro, confondendosi in un progredire disordinato di idee, di urla, di ricordi.
Tra un po’ si sarebbe dimenticato persino del perché, perché stesse facendo tutto quello.
«Stai piagnucolando di nuovo, ragazzino».
«Stai zitto, fetente. Per colpa tua ci siamo ritrovati ad ammazzare qualcuno in pieno giorno».
«Eri schermato, non ti ha visto nessuno».
«Credi che mi importi? Credi che abbia paura di essere scoperto? Che vengano a prendermi, non riusciranno a fermarmi finché non sarò riuscito a vendicarmi».
Si appoggiò alla parete di legno del granaio e bevve piccoli sorsi dalla borraccia che aveva tra le mani, una goccia di sangue gli scivolò dalle labbra, andando a macchiare la camicia bianca, sporca in più punti che indossava.
«Questa roba fa vomitare».
«Bevi moccioso, a meno che tu non desideri che il tuo corpo si disfi a causa del mio potere, bevi e stai zitto».
«Non ho intenzione di disfarmi, non ho ancora visto la sua testa separarsi dal suo corpo, o sbaglio».
«Pazienza, ho detto, pazienza. Come speri di farlo se non sei ancora riuscito a controllare l’ombra? E in ogni caso non dipende da quello che vuoi, ma dalla resistenza del tuo corpo».
Law digrignò i denti, bestemmiando sommessamente. Era consapevole che Moloch avesse ragione, tuttavia non riusciva ad accettare la situazione; quella sensazione di inadeguatezza, di impotenza che lo pervadeva oramai da mesi gli impediva di dormire la notte. Certo, forse c’era anche il senso di colpa che non aiutava, ma Law era disposto a pagare qualsiasi prezzo, e comunque se quella gente lavorava con Doflamingo voleva dire che poi così innocente non era o si sarebbe trovata qualcosa di più onesto, qualcuno di migliore.
La verità è che forse nemmeno gli importava, non gli interessavano le loro vite, i loro problemi, le loro fatiche, erano solo un mezzo per arrivare a uno scopo e lo scopo era la testa di Donquijote su un piatto d’argento, la sensazione di essersi finalmente vendicato, la consapevolezza di averlo battuto.
Certo per farlo si era dannato, aveva venduto la sua anima, aveva ucciso, torturato, versato sangue e probabilmente sarebbe finito all’inferno, ma non era che un piccolo prezzo da pagare e lui era più che ben disposto a pagarlo. Tutto pur di vedere quell’uomo morto.
Si alzò in piedi e osservò con aria disgustata il pavimento del granaio. Era sporco di sangue, nel centro spiccava un’enorme pentacolo con una stella a cinque punte rovesciata, segni e simboli erano sparsi per tutta la stanza, assieme a candele e coltelli di diverse dimensioni. Appoggiata a un lato del granaio si trovava una brandina, la struttura era in ferro arrugginita e rovinata dal tempo, il materasso era sgualcito e sporco, puzzava di sangue rappreso e di terra. Law dormiva lì.
Oramai non sentiva più il freddo, non sentiva più il caldo, né il dolore, né aveva inibizioni di alcun genere. La verità è che il suo amor proprio stava lentamente sparendo, assieme al suo amor proprio, al rispetto per se stesso, alla voglia di vivere.
Aveva da lungo cessato all’idea di vivere e in fondo andava bene così, non aveva nessuno con cui condividerla quella vita e non aveva alcun interesse nell’essere felice.
«Il catalizzatore funziona?» domandò, più a sé stesso che a Moloch.
«Se non funzionasse saresti morto, sei molto fortunato ragazzino, l’occhio di Tiamat è uno degli artefatti magici più potenti che si possano ritrovare nel vostro mondo. Ne avessi scelto un altro saresti già morto».
«Anche se non mi hai ancora voluto dire per cosa vuoi usarlo.
Tu vuoi la tua vendetta, umano. Io voglio la mia e sono secoli, no millenni che aspetto di riuscire a portarla a termine.
«Sembra un sacco di tempo» borbottò Law, lasciandosi cadere sul materasso «Non so come spiegarti quanto poco mi importi della tua vendetta e dei tuoi problemi, Barbanera. Davvero, meno di zero».
«Fai pure lo sbruffone, marmocchio, ma ricordati che anche quell’amuleto non potrà proteggerti per sempre e prima o poi morirai e io avrò la mia vendetta anche su di te».
«L’unica cosa che dovresti fare è prendere un calmante, perché a me sembra tanto che tu vada a cercare vendetta nei confronti di chiunque ti rivolga la parola in un modo che non ti piace».
«Insolente».
«Non per fare il babbano, ma secondo me non sta funzionando».
«Che cos’è diavolo è un babbano?» domandò Cavendish roteando gli occhi verso l’alto.
«Babbano» sibilò nuovamente Bartolomeo, stringendo gli occhi e guardandolo con aria di evidente disapprovazione.
«Volete tacere?» Alvida picchiettò le unghie contro la pavimentazione di cemento della strada e borbottò qualcosa di incomprensibile, quindi sollevò lo sguardo su Basil «Hai della cenere di sorbo nel bagagliaio di quella vettura?»
«Ho tutto. Sempre» la voce di Hawkins era seria, non c’era traccia di arroganza, la sua era una semplice constatazione e quel tono era lo stesso che avrebbe usato per rispondere a una domanda sul tempo.
Si allontanò di poco, incamminandosi verso la macchina e, aperto il bagagliaio, estrasse un barattolo di notevoli dimensioni.
«Fate due passi indietro» ammonì gli altri, svitando con gesti sicuri il tappo e passandolo ad Alvida.
Quindi con un rapido movimento del braccio svuotò il contenuto, una cenere nera e scura, disomogenea e leggermente odorosa, sulla strada, proprio nel punto in cui a detta di Drake l’uomo si era mutato in ombra.
Bartolomeo assistette con gli occhi sgranati, aspettando che accadesse qualcosa; le ceneri lievitarono per qualche secondo in aria e quindi si depositarono a terra, strappandogli un gemito di disappunto.
«Eccezionale!» si congratulò invece William, battendo le mani con entusiasmo, «sarà molto più facile trovarlo così!»
«Così come? Non vedi che è caduta tutta a terra?» si lamentò Bartolomeo, passandosi una mano nei capelli.
«Voi umani non vedete proprio niente, vero?» Cavendish roteò gli occhi e prese l’uomo per un braccio avvicinandolo a sé «Ci penso io».
Le sue labbra si appoggiarono su quelle di Bartolomeo in un bacio leggero, era una sensazione che entrambi conoscevano già, le loro labbra si erano già incontrate e non era mai successo niente prima, ma questa volta dagli occhi socchiusi di Cavendish baluginò una leggera luce azzurrina che investì con delicatezza la figura di Bartolomeo.
«Ecco, guarda ora».
«OH-MIO-DIO!» esclamò l’umano, gli occhi gli brillavano per la meraviglia e l’esaltazione «Adoro la magia!»
Di fronte a lui si dipanava a mezz’aria una scia verde brillante, composta da migliaia di minuscoli cristalli di cenere bloccati a mezz’aria e solidificati in una strada invisibile.
«Molto bene» si congratulò Alvida, mordendosi leggermente il labbro inferiore «È ora di andare a caccia».