CoW-T Week 2 - Fandom!AU #Batch1
12/02/2020 11:20 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Fandom: One Piece
Titolo: The one we feed
Pairing: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Prompt: Fandom!AU
Parole: 621
Warning: Star Trek!AU, english
MISSIONE 1 - CoW-T 10
The one we feed
There was a disturbing noise coming from the airpipes.
Kidd snorted and tapped on the tubes, immediately after, he hissed, retrieving his hand.
«Fuck».
«Did you burn yourself, Eustass-ya? Again?»
«Shut up shit-heat» he growled.
It was a common mistake from his part, having a prosthetic hand it happened from time to time that he used his real hand to touch extremely hot surfaces, out of distraction mostly. Once he had almost touched a vial of toxin without the safety gloves, Trafalgar had stopped him last second, saving his hand and showering him with insults. So much for being the Enterprise first doctor and personal friend to the captain, he was a twat.
That was how they had met. That time it ended with a fist fight and the birth of a wonderful friendship – as Law used to define it. Eustass hated that definition. Friends? Of course, if one could describe as friendship a relationship made of constant banter and sweating bodies, one above the other, if one could describe as friendship their intertwined fingers, their desperate grasp on each other shoulders as they moan in each other’s ears.
Kidd was many things, but never a coward, not even in love, and the only reason why he despised Law was his frantic need to hide what was going on between them.
«Stop ignoring me, asshole, we’ve been called on deck by the Captain».
«Oh, wonderful, so you can pretend once again we are not speaking, because your pale ass is too clever to spend his time with an idiot second engineer like I am».
«I already told you, that was a misunderstanding» Trafalgar turned around, showing Eustass his back and heading towards the lift «Besides, it’s just a meeting, no need to get so pumped up and red with rage. Try and behave for once, Kidd».
The lift doors closed behind his back, leaving the Assistant Chief Engineer alone in the empty corridor.
Eustass inhaled deeply a couple of times, trying to refrain himself from punching the wall in front of him. He was so full of rage, a rage he didn’t want to waste in such an unproductive way. He tried to remember the words of the Enterprise’s Navigator, the closest thing to a therapist he had on that stupid galaxy cruise – knowing that if Nami ever heard him call her his “therapist” she’d punch him in the face, multiple times.
Not long ago she mentioned the importance of turning his rage into a productive something: “I don’t care what you do, but you can’t keep damaging yourself and the ship. Rage sex is a solution, trust me, I know, you know what also works? I know you are fundamental to Franky as Assistant Chief Engineer here, but every now and then you could get down on recon duties on the different planets, and you know… punch aliens”.
He had laughed, saying that it was a shit idea and that Trafalgar would have been mad to hear he was down for something that reckless and stupid, and potentially deathly.
Kidd grinned, of course, in the end that was the best idea, he kind of was born to punch stuff, or even better to use his exploding rage to blow up stuff. There was no better moment to announce his decision and to volunteer than the current meeting on the deck. He could paint both the enthusiasm on Zoro’s, the First Officer, and on the Captain’s faces, Killer being overjoyed by having the chance of fighting side by side once again, and, most importantly, the disappointed look in Trafalgar’s eyes.
«Let’s see how you like this, my friend» he grinned, putting way too much emphasis on the world “friend”.
Fandom: Rogue One
Titolo: Insieme a Parigi
Pairing: Jyn Erso/Cassian Andor
Prompt: Fandom!AU
Parole: 820
Warning: Anastasia!AU
MISSIONE 1 - CoW-T 10
Insieme a Parigi
La strada innevata la conduceva verso una nuova vita.
I fiocchi leggeri cadevano dall’alto e andavano a posarsi delicatamente sul naso della ragazza, che non riusciva a fare a meno di sorridere. Finalmente era libera.
Come aveva messo piede fuori dall’orfanotrofio era tornata a respirare e si era resa conto che per anni era rimasta in una bolla, con il fiato sospeso e l’aria smarrita. Ora, come sospinta da un vento leggero, camminava verso San Pietroburgo, senza una vera certezza di dove si stesse dirigendo, come se fosse una eco lontana a spingerla verso quella direzione.
Era come camminare in un sogno, e quando San Pietroburgo si aprì davanti ai suoi occhi, immensa nella sua grandezza, Lyana strabuzzò gli occhi, ammirata e sconvolta dalla bellezza di quella città che, per qualche ragione a lei ignota, le riempieva il cuore. Le ampie strade facevano largo a carrozze e autovetture in un continuo frastuono di voci e rumori che salivano verso l’alto correndo lungo le moli ben formate di palazzi e di torri; la Neva ghiacciata si apriva davanti ai suoi occhi, vestita di granito, con i suoi ponti curvati sopra le acque gelate, le isole ricoperte di giardini verdi e la memoria di una città che pur così giovane aveva vissuto già così intensamente.
Lyana percorse le strade fitte di persone, camminando senza una meta precisa, non aveva idea di dove stesse andando, ma si ritrovò ben presto di fronte all’edificio più imponente della città: il palazzo dei Romanov. Qualcuno le aveva detto che al suo interno avrebbe potuto trovare un tizio, un tale di nome Cassian Andor, dicevano che cercava una ragazza da portare a Parigi e di tutti i posti al mondo in cui Lyana avrebbe voluto andare al primo posto c’era proprio Parigi. Il suo non era il capriccio insistente di una ragazzina sciocca che non aveva mai visto nulla al di fuori delle quattro mura di casa, ma la necessità di un’orfana di trovare il suo posto nel mondo. Lyana non ricordava nulla del suo passato, tutto quello che le restava era un ciondolo con un cristallo trasparente, incise sulla cima del ciondolo c’era una frase “Insieme a Parigi”, e ora la sua unica chance di raggiungere una capitale dall’altra parte del continente era uno sconosciuto nascosto nel Palazzo dei Romanov.
Certo, era cresciuta in orfanotrofio, ma perfino lei conosceva la storia degli Zar, di come fossero stati gettati nel fango, uccisi e dimenticati. Era cosa nota oramai, eventi avvenuti quando era poco più di una bambina, incisi a fuoco nelle pagine della storia russa. Sospirò appena, guardandosi intorno con fare guardingo, quindi si intrufolò tra le spesse assi di legno che bloccavano una delle entrate secondarie e si addentrò nel palazzo.
Gli ampi corridoi di marmo echeggiavano del suono dei suoi passi, riempiendo ogni sala, ogni atrio, perfino le scale, di una eco spettrale; nella testa di Lyana risuonavano voci lontane, eppure era certa di essere sola. Le sue dita sfiorarono un tavolo impolverato, lasciando un segno sottile su un vecchio piatto rotto, la giovane sospirò. Era tutto così innaturale eppure allo stesso tempo così vivo nel suo cuore, percepiva chiaramente l’anima pulsante del palazzo, le risate e il brusio pressante dei suoi fantasmi – non che ci fossero davvero dei fantasmi al suo interno, ma più avanzava tra le stanze buie più sentiva, vedeva quello che era avvenuto al loro interno.
«Questo posto è…» si interruppe piano, spolverando delicatamente un vecchio vaso rimasto intatto «È come il ricordo di un sogno».
Scivolò leggera tra le porte aperte del salone, affacciandosi sull’ampia sala dei ricevimenti e si fermò in cima alla scala, strabuzzando leggermente gli occhi per vedere meglio nella penombra del palazzo. Il suo cuore perse un battito.
Avanzò di un passo passandosi le mani sulle braccia, come a volersi scaldare.
«È come un ricordo lontano, di tanto tempo fa» mormorò appena, accarezzando il marmo dell’imponente scalone, mentre discendeva gli ultimi gradini «Un ricordo che è quasi svanito, come l’ultimo baluginio di un tizzone ardente».
Ondeggiò nella sala, come danzando da sola su una melodia che solo lei poteva sentire, al ritmo dei violini e del pianoforte, tra commensali e invitati invisibili che si spostavano ondeggiando al suo fianco e tutto d’intorno rivestiti di abiti ricamati e ricchi gioielli. Il pesante cappotto grigio si mosse dietro di lei, seguendo i suoi passi come lo strascico di un vestito di seta.
«È come se fossi già stata qui, come se il mio cuore conoscesse questo posto e desiderasse ricordare qualcosa, ma non so cosa…»
«Ehi tu! Che cosa ci fai qui?»
Lyana si interruppe di colpo indietreggiando, incespicò appena e l’uomo che aveva parlato la raggiunse in due larghe falcate.
«Ti ho chiesto chi…» si bloccò di colpo e la ragazza ne approfittò per alzare lo sguardo su di lei, appoggiandosi appena all’arazzo raffigurante la famiglia reale che stava alle sue spalle.
«Sei tu Cassian Andor?»
Fandom: Rogue One
Titolo: The hunt
Pairing: Jyn Erso/Cassian Andor
Prompt: Fandom!AU
Parole: 605
Warning: Horizon Zero Dawn!AU
MISSIONE 1 - CoW-T 10
The hunt
Jyn storse il naso accovacciandosi meglio tra l’erba alta.
Il branco di corsieri passeggiava lentamente nella pianura di fronte a lei, il rumore metallico di ogni spostamento echeggiava leggero tra le altre montagne del Ventre della Madre.
Armeggiò con destrezza con il suo arco da guerra Nora e incoccò silenziosamente una freccia, mirando con attenzione una delle Sentinelle. Doveva solo prestare attenzione e cercare di capire come evitare di attirare tutto il branco su di sé.
Suo padre adottivo, un uomo severo dallo sguardo arrabbiato, le aveva sempre detto che il modo migliore per sopravvivere alle mandrie di macchine era sterminarle. Jyn non era mai stata del tutto d’accordo con questa filosofia, ma aveva davvero bisogno di ripristinare la sua scorta di vampa prima di entrare in quella dannata caverna.
Si spostò con destrezza tra le fratte, e incoccò una freccia mirando con estrema sicurezza all’occhio della sentinella di fronte a lei che cadde riversa al suolo, attirando solo parzialmente l’attenzione dei corsieri che tornarono a brucare l’erba alta con estrema tranquillità. Come fosse possibile che quelle strane creature fatte di metallo si nutrissero di erba, Jyn non lo aveva mai compreso, ma in fondo non aveva poi tutta questa importanza. Completata la raccolta di vampa – e sterminato, per davvero, il branco intero, sebbene la sua intenzione iniziale non fosse quella – la giovane estranea si allontanò in direzione di una serie di rocce che celavano dietro di loro una cavità che sprofondava verso le viscere della terra.
«Vediamo cosa ci riserva la giornata di oggi» borbottò piano, calandosi all’interno della caverna.
I Nora non potevano visitare quel genere di posto, non le grotte, ma tutti quei luoghi che altro non erano che residui del mondo che era stato; gli antichi erano stati distrutti, spazzati via, per una ragione, nessuno sapeva esattamente quale fosse questa ragione, ma sicuramente doveva essere stata ottima. A Jyn non importava, non le era mai importato, proprio come non era mai importato a suo padre. Saw l’aveva adottata quando era piccola, per qualche motivo che a lei era rimasto sconosciuto, e insieme a lei era vissuto ai margini della valle, non lontano da Ventre della Madre, come tutti gli Estranei che abitavano la valle.
Ovviamente a lei dei divieti Nora fregava meno di un cazzo di niente, non l’avevano mai considerata una di loro e lei non si era mai considerata parte della tribù, l’unico motivo per cui continuava a girare nei dintorni della Valle era che in pochi giorni sarebbe iniziata la Prova degli Audaci e lei aveva intenzione di prendervi parte: aveva una domanda pressante che le rimbombava nella testa da quando aveva sei anni ed era arrivato il momento di ricevere una risposta.
Scivolò con una capriola oltre una porta aperta, andando a sbattere sonoramente contro qualcosa – qualcuno che non avrebbe dovuto essere là.
«Che cazzo-» la voce sconosciuta rimbomba nelle stanze vuote, riecheggiando oltre le stalagmiti di pietra «E tu che diamine ci fai qui?»
Jyn sollevò lo sguardo, mettendo a fuoco il viso sconosciuto dell’uomo.
«Che ci faccio io qui? Che ci fai tu qui, ma soprattutto chi sei?»
«Sono un… un esploratore di rovine» rispose l’uomo fissandola con aria dubbiosa «Chi sei tu?»
«Jyn. Mi chiamo Jyn. E tu non sei un Nora, deduco».
«Ti sembro un Nora? No, grazie, sono un Oseram, vengo da oltre la valle, da Meridiana. Mi chiamo Cassian»
«Capisco e cosa cerchi tra queste rovine, Cassian, un tesoro nascosto?» Jyn scoppiò a ridere, quasi divertita.
«Forse, forse no, è importante?»
«Dipende» rispose lei, attivando con un gesto veloce il Focus sul suo orecchio «Ti serve una guida?»
Fandom: Rogue One
Titolo: Il Cavaliere d'Inverno
Pairing: Jyn Erso/Cassian Andor
Prompt: Fandom!AU
Parole: 630
Warning: Il Cavaliere d'Inverno!AU
MISSIONE 1 - CoW-T 10
Il cavaliere d'inverno
Cassian ricordava a malapena come fosse la vita prima della guerra, ricordava a malapena le giornate pigre trascorse nel campo di Marte, le chiacchiere senza fine con i suoi commilitoni, il calore del sole o il sapore del cibo – quello vero, non quei surrogati che fornivano loro in quei giorni per placare i morsi della fame.
C’era un ricordo, però, che lo accompagnava sempre, costantemente, e che non lo lasciava mai solo – e Cassian gliene era grato, perché era tutto ciò che riusciva a mantenerlo sano di mente in quei giorni freddi e strani per le strade di una Leningrado che non riconosceva.
Nell’irrequietezza della sua mente ritornava col ricordo alle calde notti bianche di Leningrado, al profumo di gelsomino nelle strade in quella calda e soleggiata giornata di giugno. Era diretto verso la guerra, e lo sapeva meglio di chiunque altro, lo avevano annunciato alla radio quella mattina, ma in fondo gli stava bene così, non aveva poi così importanza. Era seduto alla fermata del tram, più annoiato che altro, quando l’aveva vista per la prima volta.
Indossava un vestito bianco con le rose e sembrava come uscita da una fiaba; i suoi capelli castani le ricadevano leggeri sulle spalle, malamente legati da un lato, mentre i suoi occhi sfrecciavano rapidi da un lato all’altro della strada a scrutare l’orizzonte e l’arrivo del tram. Tra le mani stringeva un piccolo cono gelato, che andava leggermente sciogliendosi tra le sue dita candide. L’aveva trovata subito bellissima. Jyn aveva sbuffato, annoiata da tutto quell’aspettare, non sapeva nemmeno lei dove stesse andando e cosa ne sarebbe stato della sua giornata; come aveva sbuffato un ciuffo di capelli si era sollevato con leggerezza per poi ricaderle sul viso. Cassian l’aveva guardata da sotto il berretto color terra, i suoi occhi sorridevano come le sue labbra. Una parte di lui se ne innamorò all’istante.
Ci pensava spesso a quei momenti, a quando aveva incontrato Jyn per la prima volta mentre mangiava un gelato seduta su una panchina in via Saltjkova-Scedrina. Ripensava a quella notte sul Sant’Isacco quando l’aveva baciata la prima volta, ricordava l’aria fredda, l’umidità pungente e la sensazione che i tedeschi sarebbero arrivati ben presto. Ricordava quando l’aveva riportata a casa dopo una notte intera, passeggiando con lei sulla prospettiva Nevskij, tenendola sulla schiena, mentre Jyn gli reggeva il fucile. A tutti quei momenti che avevano plasmato la loro esistenza e le loro anime, momenti che avevano avuto e che avevano condiviso, ma che erano stati solo quello: attimi impalpabili, soggetto allo scorrere del tempo.
Quello che davvero avrebbero voluto…, pensava a volte Cassian con lo sguardo fisso verso l’orizzonte, verso il fiume Kama, verso oltre il lago ghiacciato, là dove sapeva essere Jyn adesso, quello che davvero avrebbero voluto era l’eternità.
Sospirò piano, pensò che forse un giorno l’avrebbe raggiunta. Prima di partire Jyn lo aveva guardato, con tutto l’amore di cui era capace, il silenzio era durato quanto una vita, poi aveva sussurrato piano, con tutte le forse che non aveva per via della fame: «C’è un filo che non può essere spezzato dalla morte, dal tempo, dalla distanza, dal dolore, dalla guerra o dal comunismo. Non si può spezzare, Andor. Finché io sarò viva, anche tu lo sarai».
Forse era per questo che la guerra non lo aveva ancora richiamato a sé, e forse era per questo che Cassian aveva ancora una speranza: la speranza che Jyn fosse ancora viva, che avesse attraversato quel lago maledetto, superato le bombe, superato la fame e il dolore e la morte e fosse la, da qualche parte, ad aspettarlo. Tutto quello che gli rimaneva era la speranza.
Cassian Andor andò a Lazarevo spinto dalla speranza e dalla eco lontana di un ricordo che non riusciva a farlo dormire la notte.