[varie] CoW-T - Week 6 M2
23/03/2019 09:50 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Fandom: Sailor Moon
Titolo: a volte anche alzarsi dal letto è un gesto eroico.
Warning/Generi: tw!depressione, angst
Parole: 600 parole
Missione: M2
Prompt: Heroic Gestures.
A volte si sente il peso del mondo sulle spalle, ed è normale considerando la responsabilità che si è ritrovata a dover gestire. Non è che lo volesse, essere Sailor Moon.
Usagi non ha mai desiderato essere una supereroina - o forse sì, qualche volta, ma avrebbe preferito essere una di quelle supereroine che di responsabilità non ne hanno e che possono stare a dormire tutto il giorno e rimpinzarsi di dolci, perché tutti le amano ed è giusto che vengano un po’ viziate.
Essere una Sailor Senshi è più impegnativo di quanto non avesse preventivato all’inizio e Usagi sa bene di non essere sola, che il suo è un peso condiviso, ma nonostante questo rimane il fatto che ha solo sedici anni e il mondo lo deve salvare comunque. Non sa quante altre perdite dovrà subire prima di spezzarsi, ma sente che le spalle di chinano verso il basso, come se stesse trasportando uno zaino troppo pesante.
A volte avrebbe solamente voglia di nascondersi sotto le lenzuola e rimanere lì, con gli occhi chiusi e i pugni serrati, a immaginare un futuro più luminoso, più brillante, in cui può essere solamente una liceale e pensare ai compiti, a uscire con Mamo-chan, a giocare ai videogiochi e a mangiare (soprattutto a mangiare).
Ci sono dei giorni in cui vorrebbe solo piangere, senza dire niente. Vorrebbe piangere e basta perché la pressione è troppo grande e lei non sa cosa fare; non ha mai voluto questa responsabilità, nessuno le ha mai chiesto se la volesse e ora non può rifiutarsi di andare avanti. Ma come può un’adolescente salvare il mondo quando la realtà è che non è nemmeno in grado di badare a sé stessa? Usagi vorrebbe trovare un modo per riuscire a fare tutto: andare a scuola di giorno, fare i compiti, uscire per un gelato con le sue amiche, andare in sala giochi, e anche combattere il male di notte. Ma non riesce, non riesce perché non sa quando dormire, non sa quando riposarsi e a volte le sembra proprio di essersi dimenticata cosa voglia dire essere felici. Sono quei giorni in cui vede tutto nero, in cui nemmeno il cibo le regala gioia - ed è terribile perché lei ama mangiare e vorrebbe essere sempre felice quando ha qualcosa con cui può ingozzarsi.
Quelle sono le giornate peggiori, in cui si trascina a scuola solo perché sua madre la sbatte fuori dal letto, in cui quasi non riesce a trasformarsi perché le mancano le energie: le energie per combattere, per lottare, per essere felice.
E Luna lo vede, ma non sa cosa fare; Mamoru lo vede, ma può solo starle vicino; anche le altre lo vedono, e forse in parte capiscono anche, ma la verità è che nessuno di loro sa cosa fare per aiutarla. Così Luna si accoccola vicino a lei, strusciando il muso peloso contro la guancia di Usagi con affetto, per farle capire che lei è lì, che se vuole parlare l’ascolterà e che se non vuole parlare non è un problema, va bene lo stesso.
Per Usagi sono quelle le giornate più difficili, e nonostante tutto si alza lo stesso, esce dal piumone con la morte nel cuore e la voglia di piangere, ma si alza lo stesso ed esce di casa, va a scuola, salva il mondo e torna a casa. E lei lo sa, lo sa meglio di chiunque altro, meglio di quanto non possa esprimere a parole: alla fine, il gesto più eroico di tutta la sua giornata non è salvare Tokyo, non è salvare il mondo, è alzarsi dal letto.
Fandom: One Piece
Titolo: i tuoi antenati vorrebbero che fossi felice
Warning/Generi: tw!depressione, angst, modern!AU, ghost!AU
Parole: 705 parole
Missione: M2
Prompt: A hard surface covering a inner softie
«Vi sembra mica normale che sto spostato pianga in questo modo?!» borbottò il vecchio spirito, sbuffando. Dalla sua pipa trasparente uscirono piccole nuvole di fumo etereo che si dispersero subito nell’aria fresca del giorno.
«Non fare lo scorbutico come tuo solito, Smoker, sempre a parlare male delle nuove generazioni» lo redarguì un secondo spirito, una donna raggrinzita avvolta in un vecchio abito ottocentesco «Sta facendo del suo meglio».
«Questo suo modo di fare del suo meglio fa schifo» fece notare con acredine il primo, incrociando le braccia magroline contro il corpo e girando la testa con sdegno.
«Antipatico da morto proprio come ti ricordavo antipatico e misantropo in vita» fece eco un terzo fantasma, galleggiando privo delle sue spoglie mortali, davanti alla finestra della stanza nella quale stavano sbirciando - ovviamente senza alcuna vergogna, ma i morti non avevano certo tempo di preoccuparti di cosa fosse vergognoso o meno.
All’interno della piccola camera la giovane - viva, stava lanciando tutto quello che le capitava tra le mani contro il muro. Bonney aveva 28 anni e nessuno sbatti di andare avanti con quella situazione.
Aveva iniziato a studiare per entrare nei marines fin da quando era stata grande abbastanza per iniziare la scuola militare e da quel momento aveva dovuto subire ogni genere di angheria e molestia, principalmente per il solo fatto di essere nata donna - e figlia del Generale (cosa a cui avrebbe rinunciato volentieri).
Suo padre - o, come era solita chiamarlo lei, il vecchio infame, le aveva sempre detto, senza girarci troppo intorno che era e sarebbe stata sempre un disonore per l’intera famiglia, già solo per il fatto di essere nata donna. Come se la presenza di una vagina tra le sue gambe la rendesse meno competente di qualunque altro uomo la circondasse.
«Sei un disonore per me, per tutta la mia famiglia e per tutti i nostri antenati» era solito dirle.
E Bonney, anche se non voleva col crederci, col tempo aveva finito per farlo, e il suo cervello aveva creato una prigione di cristallo da cui non riusciva a uscire senza tagliarsi, farsi male e finire col rifugiarsi più in fondo.
Lanciò l’ennesimo libro contro il muro, rompendo lo specchio che cadde a terra e scoppiò a piangere, lasciandosi scivolare a terra.
«Sarebbe stato meglio se non fossi mai nata» sussurrò piano tra le lacrime.
Come lo disse lo specchio, già in frantumi, cadde a terra con un tonfo e di fronte a lei si materializzò una figura etera e galleggiante, quello che in gergo qualcuno avrebbe chiamato fantasma.
Bonney boccheggiò appena, senza sapere cosa fare o dire.
«La vuoi finire di commiserarti come una povera imbecille?» esclamò la figura.
La giovane sbattè le ciglia e si stropicciò gli occhi.
«Io ti conosco, sei Smoker, un lontano parente di mia madre».
«Sono un tuo antenato, piccola sciagurata!»
Ci mancava solo quello, un vecchio antenato morto venuto a farle la paternale.
«Senti» borbottò, tirando su col naso e tirandosi in piedi faticosamente «Lo so che sono un fallimento, sia come essere umano che come marine, ma-»
«E allora non fare il marine» la interruppe lo spirito di fronte a lei.
«Come prego?»
«Credi veramente che a un gruppo di vecchi antenati morti come siamo io eil resto della tua famiglia importi qualcosa che tu faccia o meno il marine? Credi che ci importi qualcosa di quello che dice quell’imbecille patentato di tuo padre?»
Bonney boccheggiò appena.
«Se lavorare come spogliarellista o fare la barista ti rendono felice, se preferisci andare a vendere auto usate o decorare stalle, cosa credi che ci importi? Te lo dico io: niente. Non ce ne frega niente! Credi forse che preferiamo vederti così mentre ti deprimi e pensi al modo più veloce di tagliarti le vene e farla finita?»
«Ma io credevo...»
«Siamo morti, pensa a come essere felice e a non raggiungerci troppo presto» sbottò ancora lo spirito senza darle modo di parlare per poi sparire in una nuvola di fumo biancastro, lasciandola basita a fissare il vuoto di fronte a sè.
Nell’aria, inudibile ai vivi, echeggiò una risata.
«Sempre il solito sentimentale. Sei scontroso con tutti, ma alla fine hai un cuore d’oro» celiò l’anziana donna.
«Un’altra parola Tsuru e chiamo un esorcista».
Titolo: a volte anche alzarsi dal letto è un gesto eroico.
Warning/Generi: tw!depressione, angst
Parole: 600 parole
Missione: M2
Prompt: Heroic Gestures.
A volte si sente il peso del mondo sulle spalle, ed è normale considerando la responsabilità che si è ritrovata a dover gestire. Non è che lo volesse, essere Sailor Moon.
Usagi non ha mai desiderato essere una supereroina - o forse sì, qualche volta, ma avrebbe preferito essere una di quelle supereroine che di responsabilità non ne hanno e che possono stare a dormire tutto il giorno e rimpinzarsi di dolci, perché tutti le amano ed è giusto che vengano un po’ viziate.
Essere una Sailor Senshi è più impegnativo di quanto non avesse preventivato all’inizio e Usagi sa bene di non essere sola, che il suo è un peso condiviso, ma nonostante questo rimane il fatto che ha solo sedici anni e il mondo lo deve salvare comunque. Non sa quante altre perdite dovrà subire prima di spezzarsi, ma sente che le spalle di chinano verso il basso, come se stesse trasportando uno zaino troppo pesante.
A volte avrebbe solamente voglia di nascondersi sotto le lenzuola e rimanere lì, con gli occhi chiusi e i pugni serrati, a immaginare un futuro più luminoso, più brillante, in cui può essere solamente una liceale e pensare ai compiti, a uscire con Mamo-chan, a giocare ai videogiochi e a mangiare (soprattutto a mangiare).
Ci sono dei giorni in cui vorrebbe solo piangere, senza dire niente. Vorrebbe piangere e basta perché la pressione è troppo grande e lei non sa cosa fare; non ha mai voluto questa responsabilità, nessuno le ha mai chiesto se la volesse e ora non può rifiutarsi di andare avanti. Ma come può un’adolescente salvare il mondo quando la realtà è che non è nemmeno in grado di badare a sé stessa? Usagi vorrebbe trovare un modo per riuscire a fare tutto: andare a scuola di giorno, fare i compiti, uscire per un gelato con le sue amiche, andare in sala giochi, e anche combattere il male di notte. Ma non riesce, non riesce perché non sa quando dormire, non sa quando riposarsi e a volte le sembra proprio di essersi dimenticata cosa voglia dire essere felici. Sono quei giorni in cui vede tutto nero, in cui nemmeno il cibo le regala gioia - ed è terribile perché lei ama mangiare e vorrebbe essere sempre felice quando ha qualcosa con cui può ingozzarsi.
Quelle sono le giornate peggiori, in cui si trascina a scuola solo perché sua madre la sbatte fuori dal letto, in cui quasi non riesce a trasformarsi perché le mancano le energie: le energie per combattere, per lottare, per essere felice.
E Luna lo vede, ma non sa cosa fare; Mamoru lo vede, ma può solo starle vicino; anche le altre lo vedono, e forse in parte capiscono anche, ma la verità è che nessuno di loro sa cosa fare per aiutarla. Così Luna si accoccola vicino a lei, strusciando il muso peloso contro la guancia di Usagi con affetto, per farle capire che lei è lì, che se vuole parlare l’ascolterà e che se non vuole parlare non è un problema, va bene lo stesso.
Per Usagi sono quelle le giornate più difficili, e nonostante tutto si alza lo stesso, esce dal piumone con la morte nel cuore e la voglia di piangere, ma si alza lo stesso ed esce di casa, va a scuola, salva il mondo e torna a casa. E lei lo sa, lo sa meglio di chiunque altro, meglio di quanto non possa esprimere a parole: alla fine, il gesto più eroico di tutta la sua giornata non è salvare Tokyo, non è salvare il mondo, è alzarsi dal letto.
Fandom: One Piece
Titolo: i tuoi antenati vorrebbero che fossi felice
Warning/Generi: tw!depressione, angst, modern!AU, ghost!AU
Parole: 705 parole
Missione: M2
Prompt: A hard surface covering a inner softie
«Vi sembra mica normale che sto spostato pianga in questo modo?!» borbottò il vecchio spirito, sbuffando. Dalla sua pipa trasparente uscirono piccole nuvole di fumo etereo che si dispersero subito nell’aria fresca del giorno.
«Non fare lo scorbutico come tuo solito, Smoker, sempre a parlare male delle nuove generazioni» lo redarguì un secondo spirito, una donna raggrinzita avvolta in un vecchio abito ottocentesco «Sta facendo del suo meglio».
«Questo suo modo di fare del suo meglio fa schifo» fece notare con acredine il primo, incrociando le braccia magroline contro il corpo e girando la testa con sdegno.
«Antipatico da morto proprio come ti ricordavo antipatico e misantropo in vita» fece eco un terzo fantasma, galleggiando privo delle sue spoglie mortali, davanti alla finestra della stanza nella quale stavano sbirciando - ovviamente senza alcuna vergogna, ma i morti non avevano certo tempo di preoccuparti di cosa fosse vergognoso o meno.
All’interno della piccola camera la giovane - viva, stava lanciando tutto quello che le capitava tra le mani contro il muro. Bonney aveva 28 anni e nessuno sbatti di andare avanti con quella situazione.
Aveva iniziato a studiare per entrare nei marines fin da quando era stata grande abbastanza per iniziare la scuola militare e da quel momento aveva dovuto subire ogni genere di angheria e molestia, principalmente per il solo fatto di essere nata donna - e figlia del Generale (cosa a cui avrebbe rinunciato volentieri).
Suo padre - o, come era solita chiamarlo lei, il vecchio infame, le aveva sempre detto, senza girarci troppo intorno che era e sarebbe stata sempre un disonore per l’intera famiglia, già solo per il fatto di essere nata donna. Come se la presenza di una vagina tra le sue gambe la rendesse meno competente di qualunque altro uomo la circondasse.
«Sei un disonore per me, per tutta la mia famiglia e per tutti i nostri antenati» era solito dirle.
E Bonney, anche se non voleva col crederci, col tempo aveva finito per farlo, e il suo cervello aveva creato una prigione di cristallo da cui non riusciva a uscire senza tagliarsi, farsi male e finire col rifugiarsi più in fondo.
Lanciò l’ennesimo libro contro il muro, rompendo lo specchio che cadde a terra e scoppiò a piangere, lasciandosi scivolare a terra.
«Sarebbe stato meglio se non fossi mai nata» sussurrò piano tra le lacrime.
Come lo disse lo specchio, già in frantumi, cadde a terra con un tonfo e di fronte a lei si materializzò una figura etera e galleggiante, quello che in gergo qualcuno avrebbe chiamato fantasma.
Bonney boccheggiò appena, senza sapere cosa fare o dire.
«La vuoi finire di commiserarti come una povera imbecille?» esclamò la figura.
La giovane sbattè le ciglia e si stropicciò gli occhi.
«Io ti conosco, sei Smoker, un lontano parente di mia madre».
«Sono un tuo antenato, piccola sciagurata!»
Ci mancava solo quello, un vecchio antenato morto venuto a farle la paternale.
«Senti» borbottò, tirando su col naso e tirandosi in piedi faticosamente «Lo so che sono un fallimento, sia come essere umano che come marine, ma-»
«E allora non fare il marine» la interruppe lo spirito di fronte a lei.
«Come prego?»
«Credi veramente che a un gruppo di vecchi antenati morti come siamo io eil resto della tua famiglia importi qualcosa che tu faccia o meno il marine? Credi che ci importi qualcosa di quello che dice quell’imbecille patentato di tuo padre?»
Bonney boccheggiò appena.
«Se lavorare come spogliarellista o fare la barista ti rendono felice, se preferisci andare a vendere auto usate o decorare stalle, cosa credi che ci importi? Te lo dico io: niente. Non ce ne frega niente! Credi forse che preferiamo vederti così mentre ti deprimi e pensi al modo più veloce di tagliarti le vene e farla finita?»
«Ma io credevo...»
«Siamo morti, pensa a come essere felice e a non raggiungerci troppo presto» sbottò ancora lo spirito senza darle modo di parlare per poi sparire in una nuvola di fumo biancastro, lasciandola basita a fissare il vuoto di fronte a sè.
Nell’aria, inudibile ai vivi, echeggiò una risata.
«Sempre il solito sentimentale. Sei scontroso con tutti, ma alla fine hai un cuore d’oro» celiò l’anziana donna.
«Un’altra parola Tsuru e chiamo un esorcista».