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Titolo: The toughest challenge is the one you fight within yourself.
Fandom: Tengen Toppa Gurren Lagann
Personaggi: Kittan Bachika/Yoko Littner
Genere: sentimentale, angst, romantico
Warnings: modern!AU, racers!AU, canon!death, depiction of death, sex
Rating: NC17
Parole: 5006
Prompt: Gara
Note: Scritta per il CoW T, prima settimana
Ci sono dei giorni in cui Kittan non sente nient’altro oltre al rombo del motore.
Non è una questione di udito, ma di passione.
Ci sono dei giorni in accarezza la carrozzeria sfavillante della sua macchina da corsa, ne ammira i riflessi gialli sotto il sole lucente e si ritrova a mimare con le labbra il suono che sente quando è dentro all’abitacolo, quando è immerso nella velocità e nel mare infinito di possibilità che si aprono di fronte a lui quando corre.
Non crede riuscirà mai a liberarsi da questa sensazione e, in fondo, nemmeno vuole farlo.
«Ti sei incantato?» domanda con voce sardonica la ragazza alle sue spalle.
«Non dire scemenze, mi stavo concentrando».
«Come no, ora mi dirai anche che stavi pensando» scoppia a ridere e il seno rotondo si muove con delicatezza sotto la canotta bianca, catturando lo sguardo divertito del giovane.
Kittan sorride, avvicinandosi piano.
«Ridi, ridi, Yoko, vedrai dopo che vincerò la corsa!»
«Kittan, non voglio infrangere i tuoi sogni, ma hai sentito cosa ha detto Leeron oggi, no?»
«Ho sentito benissimo: “Adesso come adesso, né il King Kittan né il Gurren Lagann hanno possibilità di vincere contro il Lazengann o contro l’AntiSpiral”. E sai che ti dico? Chi se ne frega. E poi AntiSpiral è nome di merda per una macchina da corsa».
«Kittan-»
«No, fammi finire. Non ho intenzione di non gareggiare solo perché secondo Leeron non abbiamo chance. Anche Simon la pensa così».
Anche lui l’avrebbe pensata così.
Non lo dice, ma non è necessario, perché proprio in momenti come quelli che la presenza di Kamina diventa più forte, più palpabile, più prepotente della sua assenza. È in momenti come quelli che rimane vivo e presente, come un fantasma impossibile da dimenticare - ed è davvero così, nessuno di loro vuole dimenticarlo, nemmeno Kittan - che si interpone tra loro.
È una memoria sbiadita che appartiene a un passato lontano, ma ogni volta che torna distrugge il loro equilibrio e Kittan percepisce il muro di sicurezza che si è costruito creparsi lentamente.
Eppure, è proprio Kamina, con la sua vita, con la sua morte, che dà a tutti loro la forza di andare continuare a provarci.
È una storia vecchia, di molti anni prima, quando ancora correvano su circuiti illegali, con macchine sgangherate e il sorriso sul volto. È una storia antica, ma nei loro cuori sempre viva.
Le temperature erano inclementi da settimane e Yoko ne aveva basta di quella specie di farsa che andava avanti da qualche giorno. Ad essere onesta, nemmeno lei sapeva come ci si fosse cacciata in quella situazione ai limiti del surreale.
«Ma, fratello, non sono in grado di pilotare!»
«Non dire scemenze, Simon! Un uomo è in grado di fare qualsiasi cosa si metta in testa si fare purché abbia abbastanza coraggio per farla!»
«Ma-»
«Simon, so che non credi in te stesso, ma ti assicuro che ti sottovaluti!»
«Ma fratello io non ho la patente Non è una questione di forza di volontà è questione che non arrivo a toccare i pedali! Mi vuoi spiegare come dovrei fare a guidare?!»
«Questo è sempre stato il tuo problema. Cerchi di applicare la logica a ogni cosa e non ti rendi conto che la realtà delle cose è molto più complessa! Se fosse così semplice il mondo girerebbe all'incontrario».
«Kamina… spero che tu ti renda conto che quello che hai appena detto non ha senso. E in ogni caso non vorrai davvero che Simon guidi la macchina! È troppo piccolo, anche se arrivasse ai pedali sarebbe troppo pericoloso!»
«Cosa vuoi capirne tu, Yoko» scoppiò a ridere, agitandole una mano davanti al viso con nonchalance, come a voler scacciare una mosca «Sei solo un meccanico, dopotutto».
Il vento caldo, proveniente dal sud, sollevava con gentilezza la sabbia rossa del canyon, investendo i loro vestiti sporchi e i loro volti stanchi. Di quel giorno Simon ricordava i solchi sottili sul viso di Yoko, le sue lacrime silenziose, i pugni serrati, il rumore della sua mano che si scontrava contro la guancia di Kamina; ricordava come si era voltata, il suo seno aveva seguito la curva del movimento che aveva compiuto, mentre i lunghi capelli rossi si piegavano in un’arco.
Ricordava anche che quella sera Kamina non aveva più detto una parola e, forse per la prima volta nella sua vita, si era convinto, senza che ci fosse bisogno che nessuno lo spronasse, a chiedere scusa a qualcuno.
Quella sera, avevano tutti capito davvero quanto importanti fossero l’uno per l’altro.
Era iniziato tutto per caso, o almeno era stato così che si erano conosciuti. Beh, non Kamina e Simon, loro si conoscevano da molto più tempo e non a caso era come se fossero fratelli, sebbene se il sangue che scorreva dentro di loro si ostinasse a urlare il contrario.
Yoko si era ritrovata tra quei due per errore, era stato uno scherzo del destino o forse il karma - e Leeron in seguito l’avrebbe a lungo presa in giro a tal proposito; si era appena lasciata sfuggire la sua preda, un ricercato dalla pessima fama la cui taglia le avrebbe permesso di vivere agiatamente per almeno un paio di settimane. Durante l’inseguimento, il suo veivolo era esploso e lei si era ritrovata a precipitare e, per fortuna o per sfortuna, era atterrata tra le braccia di Kamina.
E Kamina non si era certo fermato per farla scendere, anzi l’aveva preso come un segno e così aveva accelerato ancora di più mentre la sua macchina sbuffava e strepitava per lo sforzo e le ruote stridevano seguendo i movimenti dello sterzo.
Se c’erano due cose il pilota di corse illegali amava follemente erano le donne e la velocità. Con le prime non era mai stato molto in grado di relazionarsi, succedeva fin troppo spesso che si distrasse seguendo con lo sguardo un seno ballonzolante o sedere avvolto in un vestito succinto; la velocità invece, oh, lei. Lei era sempre stata il suo primo grande amore, dopotutto con lei non doveva comunicare, doveva solo capirla e niente lo faceva sentire vivo come sentire il vento graffiargli il viso. Era stato per questo che aveva iniziato a correre, e sì, forse erano corse illegali, forse rischiava la vita, forse qualcuno prima o poi lo avrebbe fermato e sulla sua testa ci avrebbe messo una taglia perché in quel modo metteva a rischio sé stesso e gli altri, ma a Kamina non importava.
Così quando Yoko gli era caduta tra le braccia durante una fuga tra le vie di una cittadina semi-disabitata, inseguiti da una sgangherata auto della polizia, mentre il vento e i proiettili fischiavano loro attorno, Kamina l'aveva preso come un segno e e non l’aveva più lasciata andare. O meglio, la verità era che lui e Simon avevano seguito Yoko fino a casa e si erano istallati a casa sua, e Yoko, beh… Yoko, volente o nolente, si era ritrovata ad avere involontariamente adottato due disadattati senza né arte né parte, ma con uno spirito e un fervore senza pari con un insano amore per la velocità che prima o poi li avrebbe ammazzati.
«Ogni tanto» gli sussurrò scettica Yoko rotolando su un fianco e fissandolo con dolcezza «mi domando se tu ti renda conto di cosa vai chiedendo a Simon».
«So benissimo cosa gli sto chiedono, conosco i suoi limiti meglio di chiunque altro e so che può superarli. L’unico di limite di Simon è Simon stesso».
«È un ragazzino, Kamina».
«Quel ragazzino potrebbe vincere qualsiasi gara, potrebbe pilotare il Gurren Lagann anche da solo e quel veicolo non si lascia guidare da tutti».
Yoko strusciò il viso contro il suo fianco; la luce della luna le illuminava i fianchi nudi, mentre piccole gocce d’acqua scivolavano lungo le sue natiche.
«Ehi, hai i capelli bagnati» protestò debolmente Kamina.
Non suonava troppo convinto e a dimostrazione di questa assenza di convinzione la sua mano scivolò oltre le spalle della donna, a tirarsela addosso.
«Ha quattordici anni, Kamina».
«E a soli quattordici anni potrebbe già sfidare Genome sui circuiti professionistici e vincere».
«Non ti starai facendo un po’ troppe illusioni?»
«Yoko...» la interruppe con delicatezza Kamina, appoggiandole un dito sulle labbra rosate.
«Sì?»
«Tu credi in me?»
«Certo, Kamina».
«Allora credi in me che credo in Simon. Nessuno in tutta la brigata Dai Guren ha la stessa forza d’animo di Simon, nessuno ha la sua stessa forza di volontà. Simon non si arrenderà mai perché nel suo vocabolario non è contemplata questa parola. L’ho visto correre senza mai fermarsi, sostenermi quando pensavo non ce l’avrei più fatta. Credo ciecamente in Simon. Devi farlo anche tu».
Yoko sorrise, con amore, con dolcezza, gli prese il volto tra le mani, mentre i suoi lunghi capelli rossi, ancora bagnati per la doccia appena fatta, scivolarono a proteggere i loro visi da sguardi indiscreti.
«Sei una persona meravigliosa Kamina» mormorò piano, avvicinando le sue labbra a quelle dell’uomo «Anche se a volte ti comporti come un vero idiota».
«Credimi, se avviene è solo perché quando ti vedo non capisco più niente».
Yoko sorrise. Una parte di lei desiderò che quella notte durasse per sempre.
Le sue mani delicate le accarezzano il viso mentre si perde nei suoi occhi scuri; ha sempre amato gli occhi di Yoko, non ha mai saputo dirglielo. Le bacia delicatamente uno zigomo, quindi si sposta a morderle il lobo dell’orecchio.
Non c’è nessuno nel garage in quel momento, ogni tanto, non si sa bene come spariscono tutti e finiscono chissà dove; sono i momenti in cui Kittan si ritrova ad affondare il viso tra i seni di Yoko, gemendo sommessamente, stringendole i fianchi fino a farle male. Vorrebbe urlare con tutta la voce che ha in corpo di rimanere - ma non è necessario perché lei non va da nessuna parte, è sempre lì, è sempre con lui.
In qualche modo quando tutti spariscono lei è tra le sue braccia e i vestiti sono a terra, sul pavimento dell’officina, tra una ruota e una chiave inglese. Se i primi tempi provava rimorso, cercava di nascondersi, di frenarsi, ora non cerca nemmeno più di nasconderlo agli altri; forse Kittan non ha ancora capito che è lei a far sloggiare tutti da lì ogni volta che vuole rimanere da sola con lui.
Non esiste il caso, non è un caso, è una scelta e per Yoko è dannatamente importante poter scegliere di fare almeno questo, poter scegliere di amare, di chiudere gli occhi e non pensare a niente se non al membro di Kittan. Non sarà elegante, non sarà da lady, non sarà quello che dovrebbe volere, ma ci sono dei giorni cui Yoko si rende conto che l’unica cosa che la fa sentire viva davvero è l’idea di trombare contro la parete fredda dell’officina vuota.
Ci vogliono mesi perché si renda conto che il punto non è il sesso, ciò che la fa stare davvero bene è Kittan.
Kittan con il suo sorriso ironico e quel modo di fare scanzonato e leggero che le ricorda una Yoko migliore.
Inarca la schiena al suo tocco leggero, anche quando vuole essere violento non ci riesce mai davvero e le sue dita trasmettono una delicatezza e un sentimento che non sempre Yoko sente di meritare.
Le sue dita affondano nelle spalle di Kittan, mentre le unghie penetrano la carne e Yoko geme; le dita dei piedi contratte, le gambe incrociate attorno alla vita dell’uomo, il respiro pesante, i capelli gettati all’indietro, Yoko inarca la schiena, spingendo il suo seno più vicino al petto di Kittan, muovendosi ritmicamente su di lui.
I gemiti rochi dell’uomo le rimbombano nell’orecchie, rimbombano nell’officina, mentre la appoggia contro il muro cercando di non farla cadere mentre si svuota dentro di lei.
Non la lascia andare.
Se potesse farlo non lascerebbe andare mai.
Ci sono giorni in cui va tutto bene, in cui Kittan si alza con la consapevolezza di essere la cosa più simile al miglior pilota che ci sia in circolazione. Domina il circuito e domina la pista.
Le sue mani accarezzano il volante con la stessa sicurezza con cui accarezzerebbero i seni di una donna - non ha mai più desiderato accarezzare i seni di nessun’altra da quando ha conosciuto lei; i guanti di pelle gemono piano a contatto con la superficie mentre si spostano convulsamente dallo sterzo alle marce.
Kittan è noto prima di tutto per essere una persona leale; la sua devozione, però, non traspare mai dalle sue parole, ma sempre dalle sue azioni. A testimoniarlo una lunga bruciatura mai guarita sulla schiena e un timore, seppur vago, per le fiamme.
Ogni tanto di notte, quando sogna, quando ha gli incubi, percepisce ancora le fiamme di quell'inferno di pelle e lamiera lambirgli la carne e divorargli la schiena. Sono le notti in cui si sveglia di soprassalto, talvolta urlando, talvolta ricoperto di sudore freddo; sono le notti in cui Yoko geme al suo fianco, mormorando il nome di un altro uomo, piangendo sommessamente al suo fianco.
Nessuno sapeva bene come fosse avvenuto, ma Kamina era diventato il punto di riferimento di tutti loro.
Ognuno di loro voleva essere Kamina.
La brigata Dai Guren esisteva perché Lui aveva riunito un gruppo di corridori allo sbaraglio e li aveva trasformati in un roadteam.
Yoko Littner sorrideva di fronte alla polvere del deserto perché lui aveva deciso di rimanere con lei e sconvolgere la sua esistenza, trasformando una cacciatrice di taglie in un meccanico.
Simon andava in visibilio ogni volta che Kamina si rivolgeva a lui e si ergeva di fronte agli altri sentenziando che nessun altro avrebbe mai potuto guidare il Gurren Lagan con lui.
Kittan ne ammirava la forza di volontà, il coraggio indomito, il suo non indietreggiare di fronte a niente; la stima che aveva per dell'uomo era superata solo dall'amore per le sue sorelle.
Kamina era tutto, era la loro anima e il riflesso di tutto ciò che erano. E quando era morto il mondo era crollato addosso a tutti loro.
Lo schianto si era sentito per centinaia di metri, era rimbombato nella e come una eco, spegnendosi piano per lasciare posto a un boato e al crepitio delle fiamme.
Simon era ruzzolato per una cinquantina di metri, sbalzato fuori dell'abitacolo un momento prima dello schianto. Più tardi si sarebbero accorti delle abrasioni, dei lividi, delle costole incrinate e delle ossa rotte.
Le altre macchine avevano proseguite la loro folle corsa verso il traguardo, verso la vittoria, mentre parte della parete del canyon cedeva sgretolandosi e precipitando a pioggia sopra la macchina. Le urla di Yoko si erano mescolate a quelle di Simon, di Leeron, di Kittan che senza pensarci due volte si era gettato tra le fiamme, evitando i detriti, evitando le rocce. A mani nude aveva spostato le lamiere e aveva estratto il corpo sanguinante di Kamina, se lo era caricato addosso ed si era allontanato, ignorando il dolore delle ustioni e l'odore della sua pelle che sfrigolava tra le fiamme.
Erano stati sbalzati in avanti nel momento in cui, dietro di loro, il serbatoio era esploso, raggiunto dalle fiamme.
Simon si era trascinato al loro fianco, il femore usciva dalla carne in modo inquietante; aveva allungato una mano tremante e sanguinante tra le lacrime e Kamina l'aveva afferrata, biascicando piano.
«Va tutto bene» gli aveva detto, «non ti arrendere ora».
Aveva tossito, mentre i suoi polmoni sfondati collassavano riempiendosi di sangue.
«Ascoltami bene, Simon, devi credere in te stesso! E non per la fiducia che io ripongo in te, né tantomeno per la fiducia che tu riponi in me! Devi fidarti della parte di te che crede in se stessa!»
Poi, Kamina era morto.
In quel momento, tutto era cambiato.
Ora corrono su un circuito, le macchine che guidano sono nuove e luccicanti, dotate di giganteschi e inguardabili loghi sui fianchi e sugli alettoni posteriori.
Sono finiti lì quando Simon ha sconfitto Genome e uno sponsor ha fatto quello che avrebbe dovuto fare quando Kamina era ancora vivo: li ha notati.
Ora sono l’astro di punta, l'orgoglio della scuderia e nessuno di loro osa davvero parlare di quei giorni.
Simon vive circondato da un lusso che non gli appartiene, in una casa troppo grande per lui, abbandonato a una vita triste fatta di interviste e sorrisi di circostanza. Si sente vivo solo quando corre e quando può vedere Nia, cosa che capita sempre più raramente. Nia lo ha sollevato dalla depressione, lo ha accompagnato tenendolo per mano lungo la strada della crescita e gli ha indicato la strada da prendere nel momento in cui l'incertezza lo ha avvolto rendendolo cieco alla realtà. Poco importa che sia la figlia di quello stesso Genome che Simon ha così tante volte incontrato sulla pista, lo stesso uomo contro il quale correvano quando Kamina è morto. Non ha importanza perché Nia rappresenta tutto ciò in cui Simon crede e che ama. Anche se mai come adesso la loro relazione si è trovata di fronte a un bivio. Simon potrebbe scegliere di fare altro, potrebbe fare qualsiasi cosa, ma non sa se ha la forza, dentro di sé, per lasciarsi alle spalle quella vita che così tanto gli ricorda suo fratello.
Kittan, invece, corre perché non sa fare altro. Non saprebbe dove andare e ogni tanto ci sono mattine in cui si guarda allo specchio, i suoi occhi percorrono la distesa bruciata della sua pelle, e si chiede cosa ne sarà di lui tra un po’ tra qualche anno, quando non potrà più fare quella vita.
Lui e Yoko escono da quasi un anno e mezzo, non ha ancora avuto il coraggio di rivelarle che sono almeno 7 anni che è innamorato follemente di lei. Probabilmente non lo farà mai, non quando lo spettro della memoria è così ingombrante e lo fa sentire così a disagio. Non sa che Yoko ne è perfettamente consapevole, probabilmente morirebbe di vergona se lo sapesse, e lei non vuole costringerlo a dirle niente.
Kittan lo sa, sa che non è e non sarà mai come Kamina, non vorrebbe nemmeno esserlo, ma ogni tanto vorrebbe essere in grado di avere lo stesso coraggio, di avere almeno uno spazio, seppur piccolo, nel cuore di Yoko.
Yoko lo sa, sa che Kittan non è e non sarà mai come Kamina, non vorrebbe nemmeno che lo fosse, ma ogni tanto pensa che sarebbe meglio così in questo modo il sentimento che prova nei suoi confronti non contribuirebbe al senso di colpa che prova ogni volta che pensa al passato.
Yoko non osa ammetterlo, forse nemmeno a sé stessa, ma quello che ha trovato in Kittan è un amore maturo e profondo, l’amore di chi è andato avanti, nonostante tutto, e non è disposta a rinunciarvi.
«Non credi che dovresti dirglielo?» le domanda Leeron fissandola mentre si sistema i capelli.
«Dire cosa e a chi?»
«Guardala come finge di non capire, astuta!»
«Leeron...»
“No, no, carina, continua pure a fingere di non capire. Però poi non lamentarti se alla fine, a furia di stare zitta, ti viene portato via da qualche ochetta loquace".
Yoko scoppia a ridere, rischiando quasi di strozzarsi con il caffè. Scuote il capo e gli lancia un'occhiata a metà tra il divertito e il rassegnato.
“Leeron! Kittan non lo farebbe mai”.
“Forse no, sicuramente no, ma magari prima o poi potrebbe stufarsi…”
“Di correre?”
“Di essere sempre secondo, sciocchina".
Questa volta Yoko si irrigidisce, non ride più perché non c’è proprio un cazzo da ridere.
“Non ho mai fatto il confronto, non è mai stata una gara".
“Forse per te, ma pensi che lui il paragone non lo abbia mai fatto? E soprattutto credi davvero che paragonarsi a Kamina sia facile? Che paragonarsi a Kamina quando si tratta di te sia facile?”
Yoko abbassa lo sguardo, si passa una mano sull'avambraccio e abbassa lo sguardo.
“Non è una gara" mormora ancora, questa volta con molta meno convinzione.
La verità è che non ci ha mai pensato, si è sempre concentrata fin troppo su se stessa e quanto la situazione la facesse soffrire e su quanto pensare a Kamina la facesse soffrire, per soffermarsi a pensare che quella situazione e il suo modo di fare potessero far soffrire anche qualcun altro.
“È Kittan, tesoro, per lui tutto è una gara. Non sa vivere in modo diverso".
Proprio in quel momento un fulmine giallo sfreccia di fronte a loro, seguito da una coda luminosa di macchine che lo inseguono.
Yoko gli ha domandato, qualche giorno prima, se quella sarebbe stata la sua ultima gara e Kittan ha riso, agitando la mano davanti al volto, come a scacciare una mosca. “Prima o poi smetterai di correre” gli ha detto accarezzandogli i capelli.
“Per arrivare dove?” ha risposto.
Ora capisce, mentre osserva l'auto sparire dietro la curva e si gira verso il pulsante lampeggiante che segnala l'arrivo al box.
Raggiunge gli altri, cercando di scacciare i pensieri, di concentrarsi sulla gara, una gara che dipende anche da lei.
Kittan le sorride dal finestrino e Yoko gli strizza l'occhio; è la prima volta in un anno e mezzo che si scambiano un gesto, uno qualsiasi, che possa interrompere la rispettiva concentrazione.
Dopo parleranno, si ripete Yoko mentre il veicolo si allontana.
Dopo parleranno, per ora devono vincere.
Quando Kittan scende dall'auto sente lo sguardo tagliente di Yoko piantato nella schiena. Non può avvicinarsi, non ancora, ma non si avvicina nemmeno quando sale sul podio.
Il King Kittan sta fumando, la velocità folle raggiunta dal suo pilota per raggiungere la vittoria ha fuso il motore e parzialmente le pastiglie dei freni; è un miracolo se è riuscito a fermarsi e a gestire il veicolo fino alla fine della corsa. Ne è valsa la pena, è la sua ultima corsa e ha vinto. Ha superato il Gurenn Lagann per la prima e l'ultima volta della sua vita. Forse Simon lo ha fatto apposta, forse era distratto, non ha importanza.
Ha vinto.
Ne è valsa la pena.
Però ci sono gli occhi gelati di Yoko piantati nella sua schiena, i suoi pugni serrati, le braccia che tremano.
“Amico mio, tu e il tuo culetto vi siete cacciati proprio in un bel guaio” celia Leeron prendendolo in giro, ghignando alle sue spalle e lanciando un'occhiata dietro il pilota.
“Finiscila Leeron, mi fai venire i brividi".
“Sarei il minore dei tuoi problemi. Ti ricordo che Yoko ha il porto d'armi ed era una cacciatrice di taglie” continua a prenderlo in giro, “Io inizierei a correre".
Kittan scrolla le spalle e piega il capo. Come che vada ci può pensare poi, e comunque ne è valsa la pena. Ha vinto.
Continua a ripeterselo per tutte le due ore successive, finché non rimette piede in officina e si trova di fronte al suo King Kittan.
Ha l'aria di un vecchio catorcio pronto ad andare in pensione ed in effetti è così.
“Vecchio mio, pare proprio che non correrai più”.
“Anche se volesse farlo non potrebbe comunque. L'hai rotto".
Non l'aveva vista. Yoko è seduta di fianco alla macchina, fissa un punto indistinto di fronte a sé.
“Ho vinto però”.
“Il King Kittan non correrà mai più”.
“Non era in progetto che corresse di nuovo”.
Yoko stringe i pugni e salta in piedi, gli si avvicina e si blocca proprio di fronte a lui, alzando il capo per fissarlo finalmente dritto negli occhi.
“Sei uno stupido!”
“Ma che ho fatto!”
“Saresti potuto morire, non ci hai pensato a questo, vero?”
Kittan fa un passo indietro; forse ci ha pensato, ha pensato a cosa sarebbe potuto accadere, ma non alle conseguenze.
“Non sono morto però. Non è successo niente…”
“Perché corri Kittan? Leeron dice che non sai fare altro, ma io so che non è così”.
“Perché mi piace, perché mi fa sentire vivo. Non lo so, Yoko. Forse ha ragione Leeron, che importanza ha?”
“Ha importanza per me" sbraita la ragazza, posizionandosi sulla punta dei piedi per riuscire a porsi meglio al suo livello.
“Non è successo niente! Vuoi stare calma!?” sbotta a sua volta, sentendosi attaccato.
Si gratta il capo, cercando di sfuggire al suo sguardo incazzato.
“Proprio non ci arrivi, vero?”
Scuote il capo e si gira con uno scatto, i suoi capelli rossi seguono il movimento colpendo Kittan al petto; Yoko si allontana a passi larghi, stringendo i pugni.
“Non devi essere Kamina. Non ho bisogno di un altro Kamina" sibila piano lanciandogli un'ultima occhiata prima di uscire dalla stanza.
È la prima volta, da quando si frequentano, che Yoko nomina Kamina, che gli fa presente, così platealmente che non è lui, non è come lui.
Vorrebbe urlare, ma la verità è che si tratta di una realtà di cui è sempre stato consapevole. Ha sempre saputo di non essere Kamina, di non poter essere come Kamina.
“Ma che cosa mi aspettavo che sarebbe successo?!” mormora a sé stesso, lasciandosi cadere a sedere su una panca.
“Che visione deprimente".
“Va via, Leeron” borbotta Kittan “Non sono proprio in vena".
“Deprimente e maleducata"
“Leeron"
“Leeron, Leeron, Leeron. Ho capito che sapete tutti come mi chiamo, ma se ogni tanto nella vostra vita mi deste anche retta la smettereste di comportarvi come dei ragazzini".
“Di che diavolo stai parlando?!”
“Guardati, sei così preso a piangerti addosso che non pensi nemmeno al significato di quello che ti ha detto la povera Yoko. Nella tua testa vedo una scritta al neon lampeggiante: Kamina, Kamina, Kamina. Nemmeno fossi tu quello a cui lo aveva appoggiato!”
Kittan cade dalla panca e si rialza con un balzo, sbraitando all’insegna del suo vecchio amico.
“Mi stai dicendo che hai sentito tutto? Cristo Santo! Non hai nessun rispetto per la privacy?”
“Per tua fortuna, stupido scimmione biondo, no. O non sarei qui a farti notare che Yoko non ha fatto un paragone con Kamina, ma ti ha palesementedetto che in te non cerca Kamina. E comunque potevi pensarci che vedere di nuovo l'uomo di cui è innamorata rischiare la vita per colpa di una stupida gara automobilistica potesse portarla a incazzarsi!”
Kittan si blocca di colpo, con un braccio a mezz’aria.
“Scusa? Cosa hai detto?”
“Quale punto non è chiaro esattamente? Che sei uno stupido scimmione biondo? O che Yoko è palesemente innamorata di te ed è offesa perché dai così poco peso alla tua vita?"
Kittan annuisce piano, lo è davvero: è uno stupido scimmione biondo e non ha mai capito nulla.
Si precipita fuori dall’officina, senza prestare troppa attenzione a dove stia mettendo i piedi; inciampa, ma decide che non importa, si rialza e riprende a correre.
L’appartamento di Yoko si trova in una piccola radura poco fuori le mura principali della città.
È un piccolo bilocale arredato in legno che Kittan ultimamente ha imparato a conoscere meglio di quanto non vorrebbe ammettere e al quale si è spesso - senza volerlo ammettere - ritrovato a pensare come a “casa sua”.
Le chiavi gli tremano nelle mani mentre cerca di infilarle nella serratura e deve respirare un paio di volte, profondamente, per riuscire a centrare il buco. L’interno della stanza è buio, non ci sono luci accese, ma Kittan non ne ha bisogno: conosce ogni anfratto della stanza e può vedere, con i suoi occhi allenati, Yoko seduta sul divano, con le ginocchia al petto, abbracciata a un cuscino.
«Perdonami» mormora debolmente chiudendosi la porta alle spalle e lasciando la stanza completamente al buio. Unica luce rimasta la debole illuminazione proveniente dalle finestre.
Yoko non fa un plissé, né da cenno alcuno di averlo udito.
Le si avvicina in pochi passi, inginocchiandosi di fronte a lei e appoggiandole delicatamente le mani sulle caviglie.
«Perdonami Yoko, sono un imbecille».
La ragazza tira su col naso, indecisa se tirargli il cuscino in testa o abbracciarlo; alla fine decide che fare entrambe può essere un buon compromesso quindi gli molla una cuscinata in testa che manda Kittan a gambe all’aria e solo dopo lo aiuta a rialzarsi e lo fa sedere vicino a sé sul divano.
«Sei uno stupido» borbotta, afferrandogli il braccio e appoggiando la fronte contro il suo bicipite «Se fosse successo qualcosa io-»
«Lo so, mi dispiace, non ci ho pensato. Non… non è successo niente però, e non succederà, te lo prometto. Era la mia ultima corsa, ricordi?»
Yoko annuisce piano sollevando il viso a fissarlo. Quindi con lentezza solleva una mano e gli accarezza una guancia.
«Non avrei dovuto...» mormora, sorridendo mestamente - ed è uno di quei sorrisi che a Kittan spezzano il cuore.
«Cosa?»
«Non avrei mai dovuto paragonarti a Lui. So che non vuoi essere lui, so che il paragone ti fa soffrire».
Kittan scosta il capo e abbassa lo sguardo, non si aspettava che Yoko gli parlasse di questo, non si aspettava che gli parlasse di Kamina.
«Kittan...»
«Yoko senti io-»
«No, fammi parlare. Kittan, lo so che non sei lui. Mi piaci per questo, ti amo per questo. Quindi per favore, smettila, smettila di torturarti paragonandoti a Lui. Non voglio un altro Kamina, non l’ho mai cercato».
«Beh, non lo troveresti nemmeno».
«No, hai ragione, non lo troverei. Però ho trovato te e se sto con te è perché mi piaci tu, con il tuo modo di fare, il tuo modo di pensare e il tuo modo di vivere. Perché sei Kittan Bachika, il mio stupido scimmione biondo».
Kittan si china verso di lei, mentre con le mani l’attira a sé a chiuderle le labbra con un bacio.
Forse quel giorno ha rischiato troppo, forse ha bruciato l’auto e ora il King Kittan non correrà più, forse Simon gli terrà il muso e forse vivrà con la consapevolezza che non sarà mai Kamina, ma non ha importanza, perché, dopo tutto, Kittan sa che ne è valsa la pena.
Ha vinto la gara, ha trovato Yoko, è in pace col suo cuore.
Forse non correrà mai più e dovrà imparare a scoprire qualcos’altro, un nuovo modo per vivere, ma va bene così, perché a prescindere da come andrà domani oggi Kittan ha vinto e per una volta può chiudere gli occhi senza paura che le fiamme del passato vengano a bruciare i sogni.
Oggi Kittan è finalmente felice.
Fandom: Tengen Toppa Gurren Lagann
Personaggi: Kittan Bachika/Yoko Littner
Genere: sentimentale, angst, romantico
Warnings: modern!AU, racers!AU, canon!death, depiction of death, sex
Rating: NC17
Parole: 5006
Prompt: Gara
Note: Scritta per il CoW T, prima settimana
The toughest challenge is the one you fight within yourself.
Ci sono dei giorni in cui Kittan non sente nient’altro oltre al rombo del motore.
Non è una questione di udito, ma di passione.
Ci sono dei giorni in accarezza la carrozzeria sfavillante della sua macchina da corsa, ne ammira i riflessi gialli sotto il sole lucente e si ritrova a mimare con le labbra il suono che sente quando è dentro all’abitacolo, quando è immerso nella velocità e nel mare infinito di possibilità che si aprono di fronte a lui quando corre.
Non crede riuscirà mai a liberarsi da questa sensazione e, in fondo, nemmeno vuole farlo.
«Ti sei incantato?» domanda con voce sardonica la ragazza alle sue spalle.
«Non dire scemenze, mi stavo concentrando».
«Come no, ora mi dirai anche che stavi pensando» scoppia a ridere e il seno rotondo si muove con delicatezza sotto la canotta bianca, catturando lo sguardo divertito del giovane.
Kittan sorride, avvicinandosi piano.
«Ridi, ridi, Yoko, vedrai dopo che vincerò la corsa!»
«Kittan, non voglio infrangere i tuoi sogni, ma hai sentito cosa ha detto Leeron oggi, no?»
«Ho sentito benissimo: “Adesso come adesso, né il King Kittan né il Gurren Lagann hanno possibilità di vincere contro il Lazengann o contro l’AntiSpiral”. E sai che ti dico? Chi se ne frega. E poi AntiSpiral è nome di merda per una macchina da corsa».
«Kittan-»
«No, fammi finire. Non ho intenzione di non gareggiare solo perché secondo Leeron non abbiamo chance. Anche Simon la pensa così».
Anche lui l’avrebbe pensata così.
Non lo dice, ma non è necessario, perché proprio in momenti come quelli che la presenza di Kamina diventa più forte, più palpabile, più prepotente della sua assenza. È in momenti come quelli che rimane vivo e presente, come un fantasma impossibile da dimenticare - ed è davvero così, nessuno di loro vuole dimenticarlo, nemmeno Kittan - che si interpone tra loro.
È una memoria sbiadita che appartiene a un passato lontano, ma ogni volta che torna distrugge il loro equilibrio e Kittan percepisce il muro di sicurezza che si è costruito creparsi lentamente.
Eppure, è proprio Kamina, con la sua vita, con la sua morte, che dà a tutti loro la forza di andare continuare a provarci.
È una storia vecchia, di molti anni prima, quando ancora correvano su circuiti illegali, con macchine sgangherate e il sorriso sul volto. È una storia antica, ma nei loro cuori sempre viva.
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Le temperature erano inclementi da settimane e Yoko ne aveva basta di quella specie di farsa che andava avanti da qualche giorno. Ad essere onesta, nemmeno lei sapeva come ci si fosse cacciata in quella situazione ai limiti del surreale.
«Ma, fratello, non sono in grado di pilotare!»
«Non dire scemenze, Simon! Un uomo è in grado di fare qualsiasi cosa si metta in testa si fare purché abbia abbastanza coraggio per farla!»
«Ma-»
«Simon, so che non credi in te stesso, ma ti assicuro che ti sottovaluti!»
«Ma fratello io non ho la patente Non è una questione di forza di volontà è questione che non arrivo a toccare i pedali! Mi vuoi spiegare come dovrei fare a guidare?!»
«Questo è sempre stato il tuo problema. Cerchi di applicare la logica a ogni cosa e non ti rendi conto che la realtà delle cose è molto più complessa! Se fosse così semplice il mondo girerebbe all'incontrario».
«Kamina… spero che tu ti renda conto che quello che hai appena detto non ha senso. E in ogni caso non vorrai davvero che Simon guidi la macchina! È troppo piccolo, anche se arrivasse ai pedali sarebbe troppo pericoloso!»
«Cosa vuoi capirne tu, Yoko» scoppiò a ridere, agitandole una mano davanti al viso con nonchalance, come a voler scacciare una mosca «Sei solo un meccanico, dopotutto».
Il vento caldo, proveniente dal sud, sollevava con gentilezza la sabbia rossa del canyon, investendo i loro vestiti sporchi e i loro volti stanchi. Di quel giorno Simon ricordava i solchi sottili sul viso di Yoko, le sue lacrime silenziose, i pugni serrati, il rumore della sua mano che si scontrava contro la guancia di Kamina; ricordava come si era voltata, il suo seno aveva seguito la curva del movimento che aveva compiuto, mentre i lunghi capelli rossi si piegavano in un’arco.
Ricordava anche che quella sera Kamina non aveva più detto una parola e, forse per la prima volta nella sua vita, si era convinto, senza che ci fosse bisogno che nessuno lo spronasse, a chiedere scusa a qualcuno.
Quella sera, avevano tutti capito davvero quanto importanti fossero l’uno per l’altro.
Era iniziato tutto per caso, o almeno era stato così che si erano conosciuti. Beh, non Kamina e Simon, loro si conoscevano da molto più tempo e non a caso era come se fossero fratelli, sebbene se il sangue che scorreva dentro di loro si ostinasse a urlare il contrario.
Yoko si era ritrovata tra quei due per errore, era stato uno scherzo del destino o forse il karma - e Leeron in seguito l’avrebbe a lungo presa in giro a tal proposito; si era appena lasciata sfuggire la sua preda, un ricercato dalla pessima fama la cui taglia le avrebbe permesso di vivere agiatamente per almeno un paio di settimane. Durante l’inseguimento, il suo veivolo era esploso e lei si era ritrovata a precipitare e, per fortuna o per sfortuna, era atterrata tra le braccia di Kamina.
E Kamina non si era certo fermato per farla scendere, anzi l’aveva preso come un segno e così aveva accelerato ancora di più mentre la sua macchina sbuffava e strepitava per lo sforzo e le ruote stridevano seguendo i movimenti dello sterzo.
Se c’erano due cose il pilota di corse illegali amava follemente erano le donne e la velocità. Con le prime non era mai stato molto in grado di relazionarsi, succedeva fin troppo spesso che si distrasse seguendo con lo sguardo un seno ballonzolante o sedere avvolto in un vestito succinto; la velocità invece, oh, lei. Lei era sempre stata il suo primo grande amore, dopotutto con lei non doveva comunicare, doveva solo capirla e niente lo faceva sentire vivo come sentire il vento graffiargli il viso. Era stato per questo che aveva iniziato a correre, e sì, forse erano corse illegali, forse rischiava la vita, forse qualcuno prima o poi lo avrebbe fermato e sulla sua testa ci avrebbe messo una taglia perché in quel modo metteva a rischio sé stesso e gli altri, ma a Kamina non importava.
Così quando Yoko gli era caduta tra le braccia durante una fuga tra le vie di una cittadina semi-disabitata, inseguiti da una sgangherata auto della polizia, mentre il vento e i proiettili fischiavano loro attorno, Kamina l'aveva preso come un segno e e non l’aveva più lasciata andare. O meglio, la verità era che lui e Simon avevano seguito Yoko fino a casa e si erano istallati a casa sua, e Yoko, beh… Yoko, volente o nolente, si era ritrovata ad avere involontariamente adottato due disadattati senza né arte né parte, ma con uno spirito e un fervore senza pari con un insano amore per la velocità che prima o poi li avrebbe ammazzati.
«Ogni tanto» gli sussurrò scettica Yoko rotolando su un fianco e fissandolo con dolcezza «mi domando se tu ti renda conto di cosa vai chiedendo a Simon».
«So benissimo cosa gli sto chiedono, conosco i suoi limiti meglio di chiunque altro e so che può superarli. L’unico di limite di Simon è Simon stesso».
«È un ragazzino, Kamina».
«Quel ragazzino potrebbe vincere qualsiasi gara, potrebbe pilotare il Gurren Lagann anche da solo e quel veicolo non si lascia guidare da tutti».
Yoko strusciò il viso contro il suo fianco; la luce della luna le illuminava i fianchi nudi, mentre piccole gocce d’acqua scivolavano lungo le sue natiche.
«Ehi, hai i capelli bagnati» protestò debolmente Kamina.
Non suonava troppo convinto e a dimostrazione di questa assenza di convinzione la sua mano scivolò oltre le spalle della donna, a tirarsela addosso.
«Ha quattordici anni, Kamina».
«E a soli quattordici anni potrebbe già sfidare Genome sui circuiti professionistici e vincere».
«Non ti starai facendo un po’ troppe illusioni?»
«Yoko...» la interruppe con delicatezza Kamina, appoggiandole un dito sulle labbra rosate.
«Sì?»
«Tu credi in me?»
«Certo, Kamina».
«Allora credi in me che credo in Simon. Nessuno in tutta la brigata Dai Guren ha la stessa forza d’animo di Simon, nessuno ha la sua stessa forza di volontà. Simon non si arrenderà mai perché nel suo vocabolario non è contemplata questa parola. L’ho visto correre senza mai fermarsi, sostenermi quando pensavo non ce l’avrei più fatta. Credo ciecamente in Simon. Devi farlo anche tu».
Yoko sorrise, con amore, con dolcezza, gli prese il volto tra le mani, mentre i suoi lunghi capelli rossi, ancora bagnati per la doccia appena fatta, scivolarono a proteggere i loro visi da sguardi indiscreti.
«Sei una persona meravigliosa Kamina» mormorò piano, avvicinando le sue labbra a quelle dell’uomo «Anche se a volte ti comporti come un vero idiota».
«Credimi, se avviene è solo perché quando ti vedo non capisco più niente».
Yoko sorrise. Una parte di lei desiderò che quella notte durasse per sempre.
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Le sue mani delicate le accarezzano il viso mentre si perde nei suoi occhi scuri; ha sempre amato gli occhi di Yoko, non ha mai saputo dirglielo. Le bacia delicatamente uno zigomo, quindi si sposta a morderle il lobo dell’orecchio.
Non c’è nessuno nel garage in quel momento, ogni tanto, non si sa bene come spariscono tutti e finiscono chissà dove; sono i momenti in cui Kittan si ritrova ad affondare il viso tra i seni di Yoko, gemendo sommessamente, stringendole i fianchi fino a farle male. Vorrebbe urlare con tutta la voce che ha in corpo di rimanere - ma non è necessario perché lei non va da nessuna parte, è sempre lì, è sempre con lui.
In qualche modo quando tutti spariscono lei è tra le sue braccia e i vestiti sono a terra, sul pavimento dell’officina, tra una ruota e una chiave inglese. Se i primi tempi provava rimorso, cercava di nascondersi, di frenarsi, ora non cerca nemmeno più di nasconderlo agli altri; forse Kittan non ha ancora capito che è lei a far sloggiare tutti da lì ogni volta che vuole rimanere da sola con lui.
Non esiste il caso, non è un caso, è una scelta e per Yoko è dannatamente importante poter scegliere di fare almeno questo, poter scegliere di amare, di chiudere gli occhi e non pensare a niente se non al membro di Kittan. Non sarà elegante, non sarà da lady, non sarà quello che dovrebbe volere, ma ci sono dei giorni cui Yoko si rende conto che l’unica cosa che la fa sentire viva davvero è l’idea di trombare contro la parete fredda dell’officina vuota.
Ci vogliono mesi perché si renda conto che il punto non è il sesso, ciò che la fa stare davvero bene è Kittan.
Kittan con il suo sorriso ironico e quel modo di fare scanzonato e leggero che le ricorda una Yoko migliore.
Inarca la schiena al suo tocco leggero, anche quando vuole essere violento non ci riesce mai davvero e le sue dita trasmettono una delicatezza e un sentimento che non sempre Yoko sente di meritare.
Le sue dita affondano nelle spalle di Kittan, mentre le unghie penetrano la carne e Yoko geme; le dita dei piedi contratte, le gambe incrociate attorno alla vita dell’uomo, il respiro pesante, i capelli gettati all’indietro, Yoko inarca la schiena, spingendo il suo seno più vicino al petto di Kittan, muovendosi ritmicamente su di lui.
I gemiti rochi dell’uomo le rimbombano nell’orecchie, rimbombano nell’officina, mentre la appoggia contro il muro cercando di non farla cadere mentre si svuota dentro di lei.
Non la lascia andare.
Se potesse farlo non lascerebbe andare mai.
Ci sono giorni in cui va tutto bene, in cui Kittan si alza con la consapevolezza di essere la cosa più simile al miglior pilota che ci sia in circolazione. Domina il circuito e domina la pista.
Le sue mani accarezzano il volante con la stessa sicurezza con cui accarezzerebbero i seni di una donna - non ha mai più desiderato accarezzare i seni di nessun’altra da quando ha conosciuto lei; i guanti di pelle gemono piano a contatto con la superficie mentre si spostano convulsamente dallo sterzo alle marce.
Kittan è noto prima di tutto per essere una persona leale; la sua devozione, però, non traspare mai dalle sue parole, ma sempre dalle sue azioni. A testimoniarlo una lunga bruciatura mai guarita sulla schiena e un timore, seppur vago, per le fiamme.
Ogni tanto di notte, quando sogna, quando ha gli incubi, percepisce ancora le fiamme di quell'inferno di pelle e lamiera lambirgli la carne e divorargli la schiena. Sono le notti in cui si sveglia di soprassalto, talvolta urlando, talvolta ricoperto di sudore freddo; sono le notti in cui Yoko geme al suo fianco, mormorando il nome di un altro uomo, piangendo sommessamente al suo fianco.
♣
Nessuno sapeva bene come fosse avvenuto, ma Kamina era diventato il punto di riferimento di tutti loro.
Ognuno di loro voleva essere Kamina.
La brigata Dai Guren esisteva perché Lui aveva riunito un gruppo di corridori allo sbaraglio e li aveva trasformati in un roadteam.
Yoko Littner sorrideva di fronte alla polvere del deserto perché lui aveva deciso di rimanere con lei e sconvolgere la sua esistenza, trasformando una cacciatrice di taglie in un meccanico.
Simon andava in visibilio ogni volta che Kamina si rivolgeva a lui e si ergeva di fronte agli altri sentenziando che nessun altro avrebbe mai potuto guidare il Gurren Lagan con lui.
Kittan ne ammirava la forza di volontà, il coraggio indomito, il suo non indietreggiare di fronte a niente; la stima che aveva per dell'uomo era superata solo dall'amore per le sue sorelle.
Kamina era tutto, era la loro anima e il riflesso di tutto ciò che erano. E quando era morto il mondo era crollato addosso a tutti loro.
Lo schianto si era sentito per centinaia di metri, era rimbombato nella e come una eco, spegnendosi piano per lasciare posto a un boato e al crepitio delle fiamme.
Simon era ruzzolato per una cinquantina di metri, sbalzato fuori dell'abitacolo un momento prima dello schianto. Più tardi si sarebbero accorti delle abrasioni, dei lividi, delle costole incrinate e delle ossa rotte.
Le altre macchine avevano proseguite la loro folle corsa verso il traguardo, verso la vittoria, mentre parte della parete del canyon cedeva sgretolandosi e precipitando a pioggia sopra la macchina. Le urla di Yoko si erano mescolate a quelle di Simon, di Leeron, di Kittan che senza pensarci due volte si era gettato tra le fiamme, evitando i detriti, evitando le rocce. A mani nude aveva spostato le lamiere e aveva estratto il corpo sanguinante di Kamina, se lo era caricato addosso ed si era allontanato, ignorando il dolore delle ustioni e l'odore della sua pelle che sfrigolava tra le fiamme.
Erano stati sbalzati in avanti nel momento in cui, dietro di loro, il serbatoio era esploso, raggiunto dalle fiamme.
Simon si era trascinato al loro fianco, il femore usciva dalla carne in modo inquietante; aveva allungato una mano tremante e sanguinante tra le lacrime e Kamina l'aveva afferrata, biascicando piano.
«Va tutto bene» gli aveva detto, «non ti arrendere ora».
Aveva tossito, mentre i suoi polmoni sfondati collassavano riempiendosi di sangue.
«Ascoltami bene, Simon, devi credere in te stesso! E non per la fiducia che io ripongo in te, né tantomeno per la fiducia che tu riponi in me! Devi fidarti della parte di te che crede in se stessa!»
Poi, Kamina era morto.
In quel momento, tutto era cambiato.
♦
Ora corrono su un circuito, le macchine che guidano sono nuove e luccicanti, dotate di giganteschi e inguardabili loghi sui fianchi e sugli alettoni posteriori.
Sono finiti lì quando Simon ha sconfitto Genome e uno sponsor ha fatto quello che avrebbe dovuto fare quando Kamina era ancora vivo: li ha notati.
Ora sono l’astro di punta, l'orgoglio della scuderia e nessuno di loro osa davvero parlare di quei giorni.
Simon vive circondato da un lusso che non gli appartiene, in una casa troppo grande per lui, abbandonato a una vita triste fatta di interviste e sorrisi di circostanza. Si sente vivo solo quando corre e quando può vedere Nia, cosa che capita sempre più raramente. Nia lo ha sollevato dalla depressione, lo ha accompagnato tenendolo per mano lungo la strada della crescita e gli ha indicato la strada da prendere nel momento in cui l'incertezza lo ha avvolto rendendolo cieco alla realtà. Poco importa che sia la figlia di quello stesso Genome che Simon ha così tante volte incontrato sulla pista, lo stesso uomo contro il quale correvano quando Kamina è morto. Non ha importanza perché Nia rappresenta tutto ciò in cui Simon crede e che ama. Anche se mai come adesso la loro relazione si è trovata di fronte a un bivio. Simon potrebbe scegliere di fare altro, potrebbe fare qualsiasi cosa, ma non sa se ha la forza, dentro di sé, per lasciarsi alle spalle quella vita che così tanto gli ricorda suo fratello.
Kittan, invece, corre perché non sa fare altro. Non saprebbe dove andare e ogni tanto ci sono mattine in cui si guarda allo specchio, i suoi occhi percorrono la distesa bruciata della sua pelle, e si chiede cosa ne sarà di lui tra un po’ tra qualche anno, quando non potrà più fare quella vita.
Lui e Yoko escono da quasi un anno e mezzo, non ha ancora avuto il coraggio di rivelarle che sono almeno 7 anni che è innamorato follemente di lei. Probabilmente non lo farà mai, non quando lo spettro della memoria è così ingombrante e lo fa sentire così a disagio. Non sa che Yoko ne è perfettamente consapevole, probabilmente morirebbe di vergona se lo sapesse, e lei non vuole costringerlo a dirle niente.
Kittan lo sa, sa che non è e non sarà mai come Kamina, non vorrebbe nemmeno esserlo, ma ogni tanto vorrebbe essere in grado di avere lo stesso coraggio, di avere almeno uno spazio, seppur piccolo, nel cuore di Yoko.
Yoko lo sa, sa che Kittan non è e non sarà mai come Kamina, non vorrebbe nemmeno che lo fosse, ma ogni tanto pensa che sarebbe meglio così in questo modo il sentimento che prova nei suoi confronti non contribuirebbe al senso di colpa che prova ogni volta che pensa al passato.
Yoko non osa ammetterlo, forse nemmeno a sé stessa, ma quello che ha trovato in Kittan è un amore maturo e profondo, l’amore di chi è andato avanti, nonostante tutto, e non è disposta a rinunciarvi.
«Non credi che dovresti dirglielo?» le domanda Leeron fissandola mentre si sistema i capelli.
«Dire cosa e a chi?»
«Guardala come finge di non capire, astuta!»
«Leeron...»
“No, no, carina, continua pure a fingere di non capire. Però poi non lamentarti se alla fine, a furia di stare zitta, ti viene portato via da qualche ochetta loquace".
Yoko scoppia a ridere, rischiando quasi di strozzarsi con il caffè. Scuote il capo e gli lancia un'occhiata a metà tra il divertito e il rassegnato.
“Leeron! Kittan non lo farebbe mai”.
“Forse no, sicuramente no, ma magari prima o poi potrebbe stufarsi…”
“Di correre?”
“Di essere sempre secondo, sciocchina".
Questa volta Yoko si irrigidisce, non ride più perché non c’è proprio un cazzo da ridere.
“Non ho mai fatto il confronto, non è mai stata una gara".
“Forse per te, ma pensi che lui il paragone non lo abbia mai fatto? E soprattutto credi davvero che paragonarsi a Kamina sia facile? Che paragonarsi a Kamina quando si tratta di te sia facile?”
Yoko abbassa lo sguardo, si passa una mano sull'avambraccio e abbassa lo sguardo.
“Non è una gara" mormora ancora, questa volta con molta meno convinzione.
La verità è che non ci ha mai pensato, si è sempre concentrata fin troppo su se stessa e quanto la situazione la facesse soffrire e su quanto pensare a Kamina la facesse soffrire, per soffermarsi a pensare che quella situazione e il suo modo di fare potessero far soffrire anche qualcun altro.
“È Kittan, tesoro, per lui tutto è una gara. Non sa vivere in modo diverso".
Proprio in quel momento un fulmine giallo sfreccia di fronte a loro, seguito da una coda luminosa di macchine che lo inseguono.
Yoko gli ha domandato, qualche giorno prima, se quella sarebbe stata la sua ultima gara e Kittan ha riso, agitando la mano davanti al volto, come a scacciare una mosca. “Prima o poi smetterai di correre” gli ha detto accarezzandogli i capelli.
“Per arrivare dove?” ha risposto.
Ora capisce, mentre osserva l'auto sparire dietro la curva e si gira verso il pulsante lampeggiante che segnala l'arrivo al box.
Raggiunge gli altri, cercando di scacciare i pensieri, di concentrarsi sulla gara, una gara che dipende anche da lei.
Kittan le sorride dal finestrino e Yoko gli strizza l'occhio; è la prima volta in un anno e mezzo che si scambiano un gesto, uno qualsiasi, che possa interrompere la rispettiva concentrazione.
Dopo parleranno, si ripete Yoko mentre il veicolo si allontana.
Dopo parleranno, per ora devono vincere.
Quando Kittan scende dall'auto sente lo sguardo tagliente di Yoko piantato nella schiena. Non può avvicinarsi, non ancora, ma non si avvicina nemmeno quando sale sul podio.
Il King Kittan sta fumando, la velocità folle raggiunta dal suo pilota per raggiungere la vittoria ha fuso il motore e parzialmente le pastiglie dei freni; è un miracolo se è riuscito a fermarsi e a gestire il veicolo fino alla fine della corsa. Ne è valsa la pena, è la sua ultima corsa e ha vinto. Ha superato il Gurenn Lagann per la prima e l'ultima volta della sua vita. Forse Simon lo ha fatto apposta, forse era distratto, non ha importanza.
Ha vinto.
Ne è valsa la pena.
Però ci sono gli occhi gelati di Yoko piantati nella sua schiena, i suoi pugni serrati, le braccia che tremano.
“Amico mio, tu e il tuo culetto vi siete cacciati proprio in un bel guaio” celia Leeron prendendolo in giro, ghignando alle sue spalle e lanciando un'occhiata dietro il pilota.
“Finiscila Leeron, mi fai venire i brividi".
“Sarei il minore dei tuoi problemi. Ti ricordo che Yoko ha il porto d'armi ed era una cacciatrice di taglie” continua a prenderlo in giro, “Io inizierei a correre".
Kittan scrolla le spalle e piega il capo. Come che vada ci può pensare poi, e comunque ne è valsa la pena. Ha vinto.
Continua a ripeterselo per tutte le due ore successive, finché non rimette piede in officina e si trova di fronte al suo King Kittan.
Ha l'aria di un vecchio catorcio pronto ad andare in pensione ed in effetti è così.
“Vecchio mio, pare proprio che non correrai più”.
“Anche se volesse farlo non potrebbe comunque. L'hai rotto".
Non l'aveva vista. Yoko è seduta di fianco alla macchina, fissa un punto indistinto di fronte a sé.
“Ho vinto però”.
“Il King Kittan non correrà mai più”.
“Non era in progetto che corresse di nuovo”.
Yoko stringe i pugni e salta in piedi, gli si avvicina e si blocca proprio di fronte a lui, alzando il capo per fissarlo finalmente dritto negli occhi.
“Sei uno stupido!”
“Ma che ho fatto!”
“Saresti potuto morire, non ci hai pensato a questo, vero?”
Kittan fa un passo indietro; forse ci ha pensato, ha pensato a cosa sarebbe potuto accadere, ma non alle conseguenze.
“Non sono morto però. Non è successo niente…”
“Perché corri Kittan? Leeron dice che non sai fare altro, ma io so che non è così”.
“Perché mi piace, perché mi fa sentire vivo. Non lo so, Yoko. Forse ha ragione Leeron, che importanza ha?”
“Ha importanza per me" sbraita la ragazza, posizionandosi sulla punta dei piedi per riuscire a porsi meglio al suo livello.
“Non è successo niente! Vuoi stare calma!?” sbotta a sua volta, sentendosi attaccato.
Si gratta il capo, cercando di sfuggire al suo sguardo incazzato.
“Proprio non ci arrivi, vero?”
Scuote il capo e si gira con uno scatto, i suoi capelli rossi seguono il movimento colpendo Kittan al petto; Yoko si allontana a passi larghi, stringendo i pugni.
“Non devi essere Kamina. Non ho bisogno di un altro Kamina" sibila piano lanciandogli un'ultima occhiata prima di uscire dalla stanza.
È la prima volta, da quando si frequentano, che Yoko nomina Kamina, che gli fa presente, così platealmente che non è lui, non è come lui.
Vorrebbe urlare, ma la verità è che si tratta di una realtà di cui è sempre stato consapevole. Ha sempre saputo di non essere Kamina, di non poter essere come Kamina.
“Ma che cosa mi aspettavo che sarebbe successo?!” mormora a sé stesso, lasciandosi cadere a sedere su una panca.
“Che visione deprimente".
“Va via, Leeron” borbotta Kittan “Non sono proprio in vena".
“Deprimente e maleducata"
“Leeron"
“Leeron, Leeron, Leeron. Ho capito che sapete tutti come mi chiamo, ma se ogni tanto nella vostra vita mi deste anche retta la smettereste di comportarvi come dei ragazzini".
“Di che diavolo stai parlando?!”
“Guardati, sei così preso a piangerti addosso che non pensi nemmeno al significato di quello che ti ha detto la povera Yoko. Nella tua testa vedo una scritta al neon lampeggiante: Kamina, Kamina, Kamina. Nemmeno fossi tu quello a cui lo aveva appoggiato!”
Kittan cade dalla panca e si rialza con un balzo, sbraitando all’insegna del suo vecchio amico.
“Mi stai dicendo che hai sentito tutto? Cristo Santo! Non hai nessun rispetto per la privacy?”
“Per tua fortuna, stupido scimmione biondo, no. O non sarei qui a farti notare che Yoko non ha fatto un paragone con Kamina, ma ti ha palesementedetto che in te non cerca Kamina. E comunque potevi pensarci che vedere di nuovo l'uomo di cui è innamorata rischiare la vita per colpa di una stupida gara automobilistica potesse portarla a incazzarsi!”
Kittan si blocca di colpo, con un braccio a mezz’aria.
“Scusa? Cosa hai detto?”
“Quale punto non è chiaro esattamente? Che sei uno stupido scimmione biondo? O che Yoko è palesemente innamorata di te ed è offesa perché dai così poco peso alla tua vita?"
Kittan annuisce piano, lo è davvero: è uno stupido scimmione biondo e non ha mai capito nulla.
Si precipita fuori dall’officina, senza prestare troppa attenzione a dove stia mettendo i piedi; inciampa, ma decide che non importa, si rialza e riprende a correre.
L’appartamento di Yoko si trova in una piccola radura poco fuori le mura principali della città.
È un piccolo bilocale arredato in legno che Kittan ultimamente ha imparato a conoscere meglio di quanto non vorrebbe ammettere e al quale si è spesso - senza volerlo ammettere - ritrovato a pensare come a “casa sua”.
Le chiavi gli tremano nelle mani mentre cerca di infilarle nella serratura e deve respirare un paio di volte, profondamente, per riuscire a centrare il buco. L’interno della stanza è buio, non ci sono luci accese, ma Kittan non ne ha bisogno: conosce ogni anfratto della stanza e può vedere, con i suoi occhi allenati, Yoko seduta sul divano, con le ginocchia al petto, abbracciata a un cuscino.
«Perdonami» mormora debolmente chiudendosi la porta alle spalle e lasciando la stanza completamente al buio. Unica luce rimasta la debole illuminazione proveniente dalle finestre.
Yoko non fa un plissé, né da cenno alcuno di averlo udito.
Le si avvicina in pochi passi, inginocchiandosi di fronte a lei e appoggiandole delicatamente le mani sulle caviglie.
«Perdonami Yoko, sono un imbecille».
La ragazza tira su col naso, indecisa se tirargli il cuscino in testa o abbracciarlo; alla fine decide che fare entrambe può essere un buon compromesso quindi gli molla una cuscinata in testa che manda Kittan a gambe all’aria e solo dopo lo aiuta a rialzarsi e lo fa sedere vicino a sé sul divano.
«Sei uno stupido» borbotta, afferrandogli il braccio e appoggiando la fronte contro il suo bicipite «Se fosse successo qualcosa io-»
«Lo so, mi dispiace, non ci ho pensato. Non… non è successo niente però, e non succederà, te lo prometto. Era la mia ultima corsa, ricordi?»
Yoko annuisce piano sollevando il viso a fissarlo. Quindi con lentezza solleva una mano e gli accarezza una guancia.
«Non avrei dovuto...» mormora, sorridendo mestamente - ed è uno di quei sorrisi che a Kittan spezzano il cuore.
«Cosa?»
«Non avrei mai dovuto paragonarti a Lui. So che non vuoi essere lui, so che il paragone ti fa soffrire».
Kittan scosta il capo e abbassa lo sguardo, non si aspettava che Yoko gli parlasse di questo, non si aspettava che gli parlasse di Kamina.
«Kittan...»
«Yoko senti io-»
«No, fammi parlare. Kittan, lo so che non sei lui. Mi piaci per questo, ti amo per questo. Quindi per favore, smettila, smettila di torturarti paragonandoti a Lui. Non voglio un altro Kamina, non l’ho mai cercato».
«Beh, non lo troveresti nemmeno».
«No, hai ragione, non lo troverei. Però ho trovato te e se sto con te è perché mi piaci tu, con il tuo modo di fare, il tuo modo di pensare e il tuo modo di vivere. Perché sei Kittan Bachika, il mio stupido scimmione biondo».
Kittan si china verso di lei, mentre con le mani l’attira a sé a chiuderle le labbra con un bacio.
Forse quel giorno ha rischiato troppo, forse ha bruciato l’auto e ora il King Kittan non correrà più, forse Simon gli terrà il muso e forse vivrà con la consapevolezza che non sarà mai Kamina, ma non ha importanza, perché, dopo tutto, Kittan sa che ne è valsa la pena.
Ha vinto la gara, ha trovato Yoko, è in pace col suo cuore.
Forse non correrà mai più e dovrà imparare a scoprire qualcos’altro, un nuovo modo per vivere, ma va bene così, perché a prescindere da come andrà domani oggi Kittan ha vinto e per una volta può chiudere gli occhi senza paura che le fiamme del passato vengano a bruciare i sogni.
Oggi Kittan è finalmente felice.