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Autore: Alexiel Mihawk | alexiel_hamona
Titolo: Non dovresti nemmeno essere qui
Fandom: Saint Seiya
Genere: missing moment, introspettivo
Warning: what if?!
Rating: sfw
Parole: 1124
Prompt: Saint Seiya, Saga/Saori, "Non dovresti nemmeno essere qui" | Tesoro + Cambiamento
Note: non è proprio Saga/Saori, diciamo che ci sono degli hint, ma sono davvero molto accennati, ma vabbé. Ho cercato di attenermi al Kanon (LOL) ma è più un what if?! perché a ricor di logica non si sarebbero mai potuti parlare in questo frangente.
Also, Elena non leggere che per te è spoiler di Ade.

Non dovresti nemmeno essere qui


C’è una ragione se si dice polvere alla polvere, cenere alla cenere: un tempo era il fuoco ad accompagnare i guerrieri nel mondo oltre la vita. Un tempo venivano erette alte cataste di legna, le fiamme lambivano il cielo e illuminavano la terra. Con l’avvento del cristianesimo ogni cosa è cambiata: perché bruciare i propri morti, come gli antichi eroi del passato, quando possiamo seppellirli in casse di larice e recarci a trovarli ogni tanto?
La mente umana funziona in misteriosi e ogni tanto inquietanti modi, pensa Saga distrattamente, mentre lentamente sale le scale del grande tempio; dentro di sé è convinto che se l’avessero cremato ora non si troverebbe in questa scomoda posizione, di lui sarebbe rimasta solo cenere, nessun corpo al quale fare ritorno. Ma così non è stato e ora si ritrova ad osservare lo stesso panorama familiare, gli stessi gradini di marmo bianco (le cui venature conosce a memoria), gli stessi timpani triangolari delle dodici case, le medesime colonne doriche: nulla è cambiato.
In fondo perché sarebbe dovuto cambiare qualcosa? Non è rimasto tra i morti così a lungo perché avvenissero mutamenti di reale rilievo nel tempio, si è trattato di qualche mese al massimo. Un tempo così breve che gli sembra di essere morto solo il giorno prima. È come se la sua ferita non si fosse mai rimarginata del tutto, può ancora sentire il calore del sangue che si allarga sul costato, la lama fredda penetrare le carni; è chiaramente un illusione frutto della sua stessa immaginazione, ma questo non la rende meno realistica, meno spiacevole. In qualche modo non si sente così diverso da quei vecchi edifici in rovina, che portano su di sé le cicatrici dell'ultima battaglia, ancora fresche, ancora visibili. Forse se ci fosse stato più tempo Saori, no, Atena, si sarebbe prodigata affinché ogni cosa venisse riportata all'antico splendore, ma è evidente che di tempo non ce ne sia stato.
Può ancora udire il clangore della battaglia che infuria potente alle sue spalle, e quando raggiunge la sommità del santuario si rende conto di riuscire a malapena a trattenere un sospiro di sollievo: ce l’ha fatta, è arrivato in cima. Sorte ironica e beffarda, tuttavia, vuole che quei luoghi che gli hanno dato asilo negli anni in cui era in vita in questo momento lo rigettino e lo ripudino guardando alla sua armatura nera come la notte con sospetto e ostilità. Ostilità che è stata rimarcata più volte durante quella salita fino alle stanze della dea, da ognuno dei vecchi amici che ha incontrato lungo la strada. La disapprovazione, la delusione, la rabbia nei loro sguardi, ogni volta come una pugnalata in pieno petto, di nuovo.
Ma lei no.
Lei non lo guarda così, non lo ha mai fatto. In piedi di fronte alla statua che la rappresenta, Saori si volta a fissarlo, gli sorride, e Saga si sente piccolo e meschino, ma nel profondo del suo cuore è grato di essere qui per vederla. Atena non ha paura di lui, non ha paura della morte, non teme tradimenti plateali o attacchi alle spalle, lei riesce a leggergli nel profondo dell’animo, le basta guardarlo negli occhi.
Gli si avvicina e gentilmente gli appoggia una mano sulla guancia: «Bentornato a casa».
Saga non capisce se sta piangendo o se ha iniziato a piovere.
«Milady, non dovreste avvicinarvi così tanto a un nemico» mormora piano, non osa incrociare il suo sguardo «Non dovreste esporvi così tanto, potreste rimanere ferita».
La risata cristallina di Saori lo colpisce peggio di uno schiaffo: è peggio perché non se l’aspettava, è peggio perché suona come un perdono, è peggio perché suona di consapevolezza e accettazione.
«E tu non dovresti nemmeno essere qui» gli risponde «Ma ci sei, Saga».
L’uomo indietreggia e si lascia cadere sulle ginocchia. Non sa bene cosa sia a turbarlo di più, se il potere che quella divinità bambina ha su di lui – senza avere nemmeno mosso un dito – o la bruciante consapevolezza che questo suo ascendente gli faccia piacere. Si chiede se le cose sarebbero potute andare diversamente e non può fare a meno di domandarsi cosa sarebbe successo se avesse provato a lottare con più forza contro quella follia che si era impossessata della sua mente e del suo cuore, se non avesse mai cercato di ucciderla.
I suoi pensieri si interrompono bruscamente quando la sente inginocchiarsi di fronte a lui, una mano candida e sottile gli sfiora la guancia, e non c’è niente di passionale in quel gesto, soltanto una calma infinita, rassegnazione, forse un pizzico di rimpianto.
«Sei qui Saga, e mi dispiace che tocchi nuovamente a te recitare questo ruolo, ma se dobbiamo fare questa cosa, allora preferisco che sia tu a farla».
Atena allunga le braccia e richiama Kanon a sé – e questo fa ancora più male, vederlo lì, vederlo in piedi, vederlo vivo. Fa ancora più male perché riflette tutto quello che sarebbe potuto essere e non è stato, quello che sarebbero potuti diventare insieme, e una sottile fitta lo prende alla bocca dello stomaco nel momento in cui realizza che quello in piedi di fianco alla dea sarebbe dovuto essere lui: non riesce a credere che la stessa persona che più volte lo ha portato sulla strada del male sia ora cambiata così tanto da stare lì, schierato dalla stessa parte della divinità che entrambi che hanno tradito, con gli stessi occhi fieri che aveva lui un tempo. E in realtà non capisce se quella che sente sia gelosia o invidia o orgoglio, ma finge di non percepirla, di non provare niente, per non essere costretto a distogliere lo sguardo.
Suo fratello si avvicina e tra le mani stringe un cofanetto dorato che Saga riconosce come uno dei tesori del Santuario, d'altronde come potrebbe non farlo quando per così tanto ne ha esplorato ogni antro, detenendone il pieno controllo? Non capisce però perché darlo a lui, è arrivato lì mascherato come un nemico e non è certo un tesoro quello che si merita di ricevere. È solo quando il coperchio si apre e intravede la spada luccicante che vi si trova all'interno che finalmente capisce, e le parole di Atena assumono un nuovo significato, più amaro, più angosciante; Saga percepisce sulla lingua il sapore del sangue, mentre i suoi occhi saettano dal pugnale alla sua dea, alla ricerca vana di una via di fuga, di un cenno di diniego che non arriva.
Preferisco che sia tu a farlo.
Non era così che aveva pensato sarebbe andata, non era per questo che è uscito da quella tomba. Il cavaliere dei gemelli stringe i denti e serra i pugni; no, la vita non è stata gentile con lui nemmeno questa volta.
Sarebbe stato meglio rimanere tra i morti.
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