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[varie] CoW-T - Week 3
Titolo: Come le carote
Parole: 608
Personaggi: Orihime, Grimmjow
Warning: modern au, commedia, hurt/comfort
Prompt: Se ne stava rannicchiato fra due auto in sosta e aspettava il prossimo colpo cercando di coprirsi il volto. (Giancarlo De Cataldo, Romanzo Criminale)
Note: scritta per il Cow-T, terza settimana.
Se ne stava ferma a guardare, senza dire una parola. I capelli arancioni, dello stesso colore del cielo al tramonto erano appoggiati lungo una spalla, con delicatezza, quella stessa delicatezza che le era propria. Le mani candide e le dita sottili erano chiuse in pugni serrati, e i suoi occhi occhi ridotti a fessure. Eppure rimaneva immobile, senza muovere un muscolo.
Grimmjow pensò che dopotutto se lo meritava, che era colpa sua se si era cacciato - di nuovo in quella situazione del cazzo e non poteva certo pensare che fosse lei, ancora una volta a tirarlo fuori dai guai.
Se ne stava rannicchiato fra due auto in sosta e aspettava il prossimo colpo, cercando di coprirsi il volto. Non tanto perché a prenderle in faccia soffrisse di più, quanto più perché poi al lavoro sarebbe stato un casino spiegare al suo capo come mai aveva perso due denti. E Aizen non era certo un capo clemente.
Questa volta il motivo per cui stava venendo selvaggiamente malmenato da due energumeni, troppo grossi perché persino lui potesse fare qualcosa, era legato alla sua mania di non attivare un filtro tra bocca e cervello e urlare tutto quello che gli passava dall'anticamera del cervello. Così dopo avere insultato i due che gli avevano attraversato la strada con la macchina, passando più o meno col rosso (e non vedeva l'ora di rialzarsi e gridargli "Eh, ma io avevo ragione" e poco importava se dopo le avrebbe prese di nuovo), ora stata vivendo una delle massime esperienze della sua vita, nonché una delle più ricorrenti: il pestaggio.
Fu in quel momento che lei intervenne. Orihime allungò la mano, piegandosi con grazia - ogni sua movenza lo era - verso il bagagliaio, quando ne riemerse in mano teneva un piede di porco lungo più o meno quanto la metà di lei. Iniziò a camminare con crescente velocità avvicinandosi ai due che stavano picchiando, a ragion veduta, il suo fidanzato.
«Vi prego» disse con voce rotta «Vi prego fermatevi».
«Non credo proprio, cretina».
«Levati dal cazzo o la prossima sei tu».
Grimmjow sentì qualcosa all'altezza della pancia, la voglia di pestare quei due a sua volta cominciava a farsi più potente.
«Non credo nella violenza» mormorò Orihime, tirando fuori il piede di porco da dietro la schiena «Quindi lascerò che sia Grimm a pensarci».
Il ragazzo si chiese cosa mai avesse fatto lui di buono nella vita (spoiler, proprio niente) per meritarsi quell'angelo; pur sapendo che Orihime odiava la violenza con tutta sé stessa (e per questo aveva scelto di fare l'infermiera) era lì, accanto a lui, a porgergli con aria amorevole e piena di disapprovazione un piede di porco.
Dio se l'amava. Ovviamente non lo avrebbe detto nemmeno questa volta.
Si allontanarono da due ammassi rantolanti, nascosti malamente tra le macchine in sosta.
«Grazie per il piede di porco» le disse, facendo per prenderle la mano. Orihime si divincolò.
«L'ho fatto solo perché ti stavi facendo pestare apposta. Odio quando lo fai».
«Eddai, che mo' ti sei offesa? Essù».
La giovane non rispose, aumentando il passo.
«Eddai, Hime. Lo sai che sono un disastro, ma in fondo mi ami lo stesso. Hime? Orihime!»
Continuò a ignorarlo.
«Amore? Sei bellissima? I tuoi occhi sono laghi profondi e i tuoi capelli morbidi e arancioni come... le carote!»
Orihime si bloccò di colpo e si girò di scatto.
«Sei serio?»
«Eh... arancioni come le arance?»
La ragazza scosse il capo, con aria disperata.
«Arancioni come il centro dell'uovo? Il sangue ossidato?» ora iniziava davvero a sudare freddo.
Orihime scoppiò a ridere e gli allungò la mano.
Dopo tutto lo amava anche per quello.
«Andiamo a casa».
Fandom: Frozen
Titolo: la fiducia infranta non si aggiusta con un cerotto
Parole: 582
Personaggi: Hans Anna
Warning: modern au
Prompt: Se ne stava rannicchiato fra due auto in sosta e aspettava il prossimo colpo cercando di coprirsi il volto. (Giancarlo De Cataldo, Romanzo Criminale)
Note: scritta per il Cow-T, terza settimana.
Se Anna sapeva cosa volesse dire avere il cuore infranto era per colpa sua. L'aveva illusa con le sue parole dorate, raccontandole di un futuro che non avrebbero mai vissuto e fingendo di amarla quando la stava solo usando. Poi l'aveva gettata via, lasciandola a crogiolarsi nel suo dolore, a piangere per giorni chiusa in una stanza buia, senza voler vedere nessuno, senza voler ascoltare alcuna voce ragionevole, o anche solo amica. E solo il tempo, e la sua stessa forza di volontà, l'avevano aiutata a guarire, a sentirsi finalmente meglio. Ora Anna era di nuovo in grado di fidarsi degli altri e se questo era stato possibile era stato anche grazie a sua cugina e alla terapia. Un botto di terapia.
Si sistemò gli occhiali da sole sul naso e si bordicchio il labbro inferiore, indecisa su cosa fare.
Si aprivano di fronte a lei tre possibilità: la prima prevedeva continuare a guardare a guardare mentre il suo ex veniva malamente pestato da due membri della squadra di football del college vicino; la seconda era fermarli, con la consapevolezza che almeno di vista sapessero chi fosse e che quindi non le avrebbero fatto nulla; la terza era girarsi e andarsene, fingere di non essere mai stata lì, di non averlo mai visto, che niente di quello che stava fosse provando in quel momento fosse reale. Perché nonostante tutto Anna stava provando qualcosa, principalmente sentimenti contrastanti: odio, rancore, voglia di rivalsa, nostalgia.
Sospirò, rassegnata ad essere fatta così e in parte anche un po' orgogliosa di séstessa, perché, dopo tutto, era bello essere delle persone migliore, era positivo essere una bella persona e non doveva vederlo come un difetto. Si avvicinò silenziosamente, Hans se ne stava rannicchiato fra due auto in sosta e aspettava il prossimo colpo cercando di coprirsi il volto. Anna pensò che sarebbe stato un peccato se il suo bel faccino si fosse rovinato - ripensò anche che proprio lei, quando l'aveva lasciata, gli aveva tirato un cazzotto dritto sul muso, lasciandogli un occhio nero che gli era rimasto per una settimana intera.
«Scusatemi» mormorò con voce gentile, toccando uno dei ragazzi su un braccio.
I due si girarono di scatto, pensando di essere nei guai, rilassandosi immediatamente nel realizzare che era "solo" Anna.
«Arendelle! Che spavento!» esclamò il primo dei due.
«Già che spavento, ci dai due minuti? Finiamo qui» replicò l'altro, estremamente soddisfatto. Anna pensò che probabilmente avevano ragione loro a dargliele, in ogni caso sospirò scuotendo il capo.
«Non potreste smettere subito? Ho sentito che quelli del negozio volevano chiamare la polizia» fece notare indicando con un gesto vago della mano una serie di esercizi commerciali situati al limitare dell'isolato «Vi conviene allontanarvi, ci penso io qui».
Li osservò mentre correvano via, dopo averla ringraziata e si sentì un po' in colpa per avere mentito.
«Non avevo bisogno di aiuto» borbottò dietro di lei una voce che conosceva fin troppo bene.
Si girò verso Hans e si accorse che era lei, questa volta a guardarlo dall'alto in basso.
«Certo» rispose solo, allontanandosi.
«Anna aspetta» Hans si rialzò faticosamente e cercò di afferrarla per un polso, ma si fermò all'ultimo «Grazie».
«Stai sanguinando sul maglione» fece notare Anna.
«Non era necessario che li fermassi».
«Oh, quello, lo so. Ma ero stufa di guardare, era uno spettacolo pietoso» era stato lui a insegnarle come essere meschina, sospirò. Non era così che voleva essere.
«Vieni con me» mormorò piano, fissandolo con la coda dell'occhio «Andiamo a prendere dei cerotti».
Fandom: Final Fantasy XII
Titolo: The healing winds of Dalmasca
Parole: 525
Personaggi: Ashe Basch
Warning: introspettivo, eng
Prompt: La piuma arrivò risalendo il vento. (Giorgio Faletti, La piuma)
Note: scritta per il Cow-T, terza settimana.
When I first met him, I was young and filled with dreams. Those were dreams of hope, dreams of a new world, a better world. Then everything crumbled down, I was left alone, out in the cold and I realized life wasn't as I expected, it wasn't kind, it wasn't a dream.
Once we met again I was disillusioned, disappointed and most of all, despite having known him all my life, I couldn't trust anymore.
Beside that, I felt empty and alone. I no longer believed in the idea of soulmates, or love at first sight as I once did, as I believed when I got married. I was delusional, as delusional as someone who had lost everything could be.
It was time that brought me wisdom, and with time I started to realize life wasn't just black or white, and that the infinite shades of gray standing inbetween those two colour are what really make life a rounded adventure. I was beginning to believe that a very few times in your life, if you were lucky, you might meet someone who was exactly right for you. Not because he was perfect, Basch was many things, but never once he was perfect and that was the reason I started to love him so much. Our combined flaws were arranged in a way that allowed two separate beings to hinge together. It were his flaws and mistakes, his will to make things better, how he fought for redemption that made me fall for him. He failed and fell, and he made mistakes, but never once those mistakes were intended to let me o Dalmasca down.
I made mistakes too, big ones, small ones, I can't say I never let people down, or failed as a Queen and as a Princess. But now, more than ever, now that we are apart I realize distance is but a mere concept. I feelhis voice in the wind, I feel his presence next to me when I gaze over the distance, tryin to reach a distant land. I feel him every day, every night, like he never left.
His words reach me, written with his clear calligraphy over a white letter, laid on paper with a silver quill, brought to me by calm winds, whispering my name.
I know now, that love is calm and steady, it doesn't fret nor it fails when you believe, and I believe in Basch fon Rosenburg.
He'll follow where I go, driven by a gentle breeze, lifted like a feather in the wind, rolling up, running towards me. He'll always find me, and I'll always wait. And when we finally meet again it will be like we never left. The world will stop spinning and we'll stop dancing in the wind, whispering to each other from distant land, no more letters will be necessry, no more gazing into empty windows. Will be together and we'll be complete again.
The healing winds of Dalmasca will push us close and there will be the path we're looking for, an open door leading to worlds we long to explore, pushing us futher like feather, like lovers.
Fandom: Naruto
Titolo: di eroi e pasticcini
Parole: 566
Personaggi: Kisame Sakura
Warning: commedia
Prompt: Se ne stava rannicchiato fra due auto in sosta e aspettava il prossimo colpo cercando di coprirsi il volto. (Giancarlo De Cataldo, Romanzo Criminale)
Note: scritta per il Cow-T, terza settimana.
«Mi vuoi spiegare che cavolo hai combinato?»
«Niente, non ho combinato niente. Che vuoi da me?! Mica mi devi saltare al collo ogni volta che mi vedi! Non potresti accogliermi come tutte le fidanzate normali? "Che bello vederti, Kisame, ti amo tantissimo, mi sei mancato" baci, abbracci e troiate?»
«Se vuoi posso tirarti un altro pugno, ma vedo che oggi ne hai già collezionati parecchi».
«Eddai, Sakura, che stress. Che poi non è stata colpa - almeno, questa volta non è stata colpa mia, okay? anzi sai che ti dico? Sono un eroe».
«Come no. Vieni sul divano, eroe dei miei stiv- no togli le scarpe. SUBITO. Vorrai mica sporcare tutto? Guarda che ho passato tre ore oggi a pulire tutta la casa!»
«Mi sembra un gesto inutile, tanto poi si sporca di nuovo»
«A me sembrano inutili un sacco di cose che fai, ma non te lo vengo a dire, sai perché? Perché non sono cresciuta nella giungla».
«Ti amo anche io, Sakura. Ora, vuoi sapere perché sono un'eroe? So che lo vuoi, eddai, eddai!»
«Se non te lo chiedo continuerai a guardarmi con quell'aria da cucciolo bastonato mostrandomi il naso che hai rotto per l'ennesima volta?»
«Fammi pensare... sì. Ovviamente sì. Che domanda stupida».
«Perché saresti un'eroe? Che hai combinato?»
«AH! Ecco, grazie per averlo chiesto. Praticamente, stavo tornando dall'allenamento in palestra, in questo periodo sai che mi piacere un po' tardi perché almeno ci sono i ragazzi e possiamo spottarci - che poi ho provato a spottarmi con quel tizio che mi dicevi, Gai? Si chiama Gai? È anche bravo, davvero, ma fuori come un balcone. Grazie, ma no grazie».
«Kisame, per l'amor del cielo, vuoi rimanere sull'argomento? Stai divagando».
«Sì, sì scusami. Fatto sta che oggi sono uscito un pochino prima, volevo prenderti una torta prima di tornare a casa - no, non serve che mi ringrazi».
«Anche perché non vedo nessuna torta».
«Aspe' non correre. Dicevo, prendo la traversa che si fa prima a scendere di là, no? E non guardarmi male, anche te la fai sempre quella strada lì. Fatto sta che sto camminando e all'improvviso sento questo rumore, come un gatto che muore, che poi diventa proprio un gemito di dolore e li riconosco, cioè sono abituato quando vengo da te in ospedale che ci sta la gente scannata».
«Scusa, cosa?»
«Buona lì, mica ho finito. Mi incuriosisco, no? Perché non è un cazzo di rumore normale, faccio manco e due metri e lì vedo che stanno là, sti due minchioni con la faccia di merda e un ragazzino che avrà si e no vent'anni. E sto povero cristo lo stanno pigliando a calci e lui se ne sta lì, tutto rannicchiato su sé stesso, con le mani sulla faccia, as aspettare che gli arrivi il calcio successivo. E niente, non ci ho visto più, Sakura. Mi spiace. Li ho presi a pugni, ma ti pare che pesti un ragazzino?!»
«Sei un po' un eroe, in effetti, Kisame. Vieni qui, dammi un bacio».
«Aspetta, mica è per quello che sono un eroe. Non ti ho detto che il ragazzino era il figlio della tipa della pasticceria e ora ho un conto aperto e posso prendere tutto quello che mi pare. Gratis. Guarda un po' nella borsa della palestra!»
«OH. MIO. DIO. Kisame non ti ho mai amato come ti amo adesso, sappilo!»
«Visto? Lo avevo detto. Sono un eroe».
Fandom: Guild Wars 2
Titolo: memorie di un comandante
Parole: 608
Personaggi: Trahearne, Commander
Warning: fluff, angst, canon compliant
Prompt: La piuma arrivò risalendo il vento. (Giorgio Faletti, La piuma)
Note: scritta per il Cow-T, terza settimana.
Trahearne sorrise, sollevando lo sguardo da dietro le lenti degli occhiali che usava per leggere.
«È solo una piuma, Eileen, nessun mistero, nessuna magia».
«Beh, questo è quello che sostieni tu» il Comandante mise il broncio allungandosi sulla branda nella cabina del capitano.
La nave scivolava silenziosa, incredibilmente silenziosa per essere un’aeronave, sotto di lei il mare di Tyria rimaneva silenzioso, celando nelle profondità mostrusità ignote.
Eileen era sdraiata a pancia in giù, coperta appena da un sottile lenzuolo bianco, agitava le gambe nude ritmicamente, come una bambina, mentre le dita sottili, meno curate di quanto avrebbe desiderato, accarezzavano con insolita cura una grossa piuma.
«Il vento l’ha portata da me» mormorò girando appena la testa per guardare Trahearne, «Proprio tra le mie mani, l’ha sospinta fino qui e siamo davvero in alto!»
«Ed è stato un caso, Comandante» appoggiò il libro sulla scrivania, con la delicatezza che gli era propria «È solo una piuma, ma se ti rende felice immagino che sia la tua piuma, posso trasformarla in una penna, sempre se vuoi davvero tenerla».
«Certo che lo voglio… Puoi farlo davvero?»
Il Sylvari scoppiò a ridere.
«Direi che se posso evocare un abominio di ossa posso anche trasformare una piuma in una penna, non credi?»
Eileen rise, tirandosi a sedere. Con una mano afferrò il lenzuolo e con un gesto deciso si coprì il corpo, privo di indumenti.
«Non sopravvaluto mai nessuno» disse, scherzando, quindi si alzò in piedi, avvicinandosi al Marshal.
Allungò la mano con cui teneva la piuma e la passò scherzosamente sul naso del Sylvari, Trahearne scoppiò a ridere e l’afferrò per il polso, tirandola con delicatezza verso di sè, e facendola sedere sulle sue ginocchia. Le baciò il collo, ed Eileen scoppiò a ridere, abbracciandolo e affondando a sua volta il viso nel collo del negromante.
Era una sensazione strana, quella carne di un Sylvary, le foglie che componevano i suoi capelli, la cartilagine più rigida simile a un tronco, una sensazione a cui aveva imparato ad abituarsi, che aveva imparato ad amare. Le coppie interspecie erano rare a Tyria, nonostante le diverse razze abitassero in armonia e vivessero insieme sia nelle città, che tra i tre Ordini. Eileen era stata con altre persone prima, tutti loro erano esseri umani, esponenti dell’aristocrazia di Divinity’s Reach e nessuno di loro l’aveva mai vista davvero. Inutile dire che quando era partita per proteggere Shaemoor quasi tutti avevano fatto un passo indietro e lei aveva smesso di essere considerata un buon partito, pur essendo cresciuta tra la nobiltà. Non aveva importanza, al di fuori delle mura della città aveva trovato uno scopo, una vita, degli amici.
Aveva trovato Trahearne.
«Posso averla in argento, la penna?» domandò, appoggiata a lui.
«Puoi averla come vuoi».
Eileen rise, strofinando il naso contro quello di Trahearne e chinandosi a baciarlo.
«Sai cosa? Lascia perdere la penna, adesso, Marshal. Ho un compito più importante per te».
Il Sylvari allungò una mano e con un gesto deciso fece cadere a terra il lenzuolo.
«Vedrò di fare del mio meglio, Comandante» sussurrò chinandosi su di lei.
«Non ho dubbi».
La piuma rimase sul tavolo, ma Trahearne non era tipo da dimenticare una promessa.
Il Comandante la trovò più tardi di quanto avrebbe voluto, impacchettata in un cassetto della scrivania del Marshal, dopo la sconfitta di Mordremoth, al sicuro a Fort Trinity. Era in argento, proprio come aveva chiesto lei, inciso su un lato il simbolo dell’Alleanza dei tre ordini, e la punta modellata da una spina di Caladbolg.
La piuma, leggera e impalpabile, le era stata portata dal vento, ora pesante come un macigno era l’ultima cosa che le rimaneva di Trahearne.